Archive for Marzo, 2021


Nella notte tra il 24 ed il 25 marzo sono certo di aver vissuto “l’apice più intenso ed acuto di pessimismo emotivo, umano, cosmico, universale mai raggiunto” (come da mio diario). i motivi scatenanti mi sono noti, e così le premesse filosofiche: questa esistenza individuale di autocoscienza che si protrarrà in altri modi e forme per tutta una serie di cicli infiniti (la novitazione), infiniti di (auto)coscienze personali slegate le une dalle altre, che vivranno e patiranno perennemente come è nella natura non umana ma universale, rinchiudendoci irrimediabilmente in una gabbia tragica da cui non sarà possibile scappare, impossibile sottrarvisi se non per brevi momenti di sospensione della coscienza (il sonno, oppure la pausa tra una esistenza e l’altra, come spiegato in oltre la novitazione) – ma comunque intrappolati, sepolti vivi: una tale angoscia, un tale senso di impotenza, di condanna, di moritificazione di mente e spirito da azzerarmi per tutto il prosieguo della notte insonne, e della mattinata lavorativa vissuta da vegetale. Finché, mentre tornavo a casa guidando tra curve note e spesso foriere di intuizioni, ho avuto questo sorta di oscura illuminazione: è vero, questa mia asserzione è logicamente inattaccabile – dal mio punto di vista: è la mia verità filosofica inappuntabile ed inappellabile. Ma, in un universo infinito – che è la premessa di ogni mio ragionamento e di ogni mia conclusione – possono esistere altrettante infinite verità, uguali e contrarie alla mia. E cosa mai mi assicura che la mia sia la verità che prevalga sulle altre? Uno fratto infinito?

Quindi, con un giochetto mentale che mi pone ad una dimensione surreale della storia (mi tengo stretta la mia verità, sapendo che ha probabilità di veridicità pari a zero, senza sapere se sperare che ciò sia un bene od un male – laddove un’altra verità non sia addirittura peggiore della mia – vortici filosofici da apnea), ho superato brevemente angoscia ed attacchi di panico. Ed a questo punto, restando inalterata la preferibilità senza condizioni del non nascere proprio (ennesimo paradosso: perché solo nascendo, e premesso che la non nascita è impossibile perché, come da novitazione – la non esistenza non esiste, dicevo solo nascendo si può in coscienza preferire il non nascere) ne sorge un altro che si appiglia disperato ma ridente a quella sorta di oscura illuminazione: che io possa ritrovarmi in una situazione di cosciente non esistenza preferendola, come da logica del tutto, a qualunque tipo di altra infinita e cosciente esistenza. Si tratta di una ennesima opzione mentale paradossale che per logica, e volontà, non è possibile escludere a priori, in un universo di infiniti universi inimmaginabili.

Rivoltandone gli abissi in cui mi ficcai in una notte rivoltante.

(A) MIO PADRE

Mi piacerebbe che esistesse la favoletta bella dell’aldilà, anche a costo di finire io – sicuro – all’inferno perenne, in cambio di saperti finalmente di nuovo insieme alle due persone che più hai amato.

Ai piani superiori, ovvio.

Salutamele.

(20 anni fa scrissi questo. Non cambierei una parola.)

 

MIO PADRE

 

L’aria è ferma

ed oggi è maggio.

Un fatuo pomeriggio

sospeso ed irreale

dall’unico rumore

di un placido irradiarsi

dei mistici solari

sul fianco orizzontale della casa.

La brezza inesistente

si espande lungo stanze e corridoi.

Mi muovo compunto

diacronico ed inerme

piacevole coscienza

dei propri movimenti nello spazio.

Niente è pesante, niente è angusto.

Temevo che l’estate

spazzasse via la grandine

ed i crepuscolari tramonti anticipati.

Invece, tutto è lieve

e culla dolcemente

un mare di visioni non forzate.

Mio padre ondeggia un libro

– antiche divisioni –

disteso sul divano.

Osservo i suoi occhi miopi

e la nuca imbiancata.

Questi muri, in altri tempi,

ed altre suggestioni

mitigavano le risate e le parole di una famiglia.

Adesso siamo noi due.

Domani non so.

Leggevo il suo pensiero,

ed ho aperto le tende

per dare più colore

alle sue pagine sfiorate.

Egli mi ha ringraziato

con soave distrazione.

Volersi e darsi il bene

non è obbligo di sangue

è cosa che assomiglia

al viaggio dentro l’anima.

Nell’ultimo mi si confessò

discreto, come sempre

riservato con pudore

come a non voler colpevolizzare la vita.

Un’innocenza tanto candida quanto spiazzante

da non darmi il coraggio di infierire, di profferire verbo.

Ne verserò di lacrime, sarò ancora della partita

quando lui cesserà.

La consapevolezza è una circostanza dura

bisogna fronteggiare la paura

per esserne all’altezza.

Ho scelto così, con estrema perentorietà.

Volergli bene, e tenercelo nascosto a vicenda.

Sono i rimpianti della vita, della casualità.

Forse agitai alcuni fogli

e spedii qualche sguardo.

Ma non bastò al riguardo

e scesero dal cielo neve e foglie.

A volte l’incantesimo

ti prende per mano e poi svanisce

lasciandoti nel bel mezzo di un’emozione

o di un freddo acuminato.

Questo è il mio testamento di dolcezza e di affetto.

Nessun suono, nessun effetto speciale.

Ti voglio bene, te ne ho sempre voluto, e non lo saprai mai.

Responsabilmente, mi contrarrò nel dolore rileggendolo.

Quando non ci saranno più tende da aprire

né pagine di libro da schiarire

capelli bianchi da osservare

e mani che modellavano la creta.

Un’intenzione vale maggiormente.

La mia anima stracciata si schernisce.

Ha avuto un eccellente maestro.

Di più.

Un genitore degno e silenzioso.

Di più.

Mio padre.

 

– Vecchioleviatano 2001

Powered by WordPress. Theme: Motion by 85ideas. .