Quel giorno, il mio editore di riferimento mi chiese un pezzo per l’ultimo dell’anno.
Petto o coscia? – risposi.
E poi aggiunsi che io di solito non ragiono a pezzi, ma tutto intero.
Ed è così che si finisce a pezzi – dentro.
E che poi le parole, non si fanno lievi e leggère
E non aiutano a lèggere.
Che, compìto
nel solito compitino di trovar pensieri
tra le rovine
e le moine
di una cultura
sterminata
e spesi spesso a spasso
tra tramonti
e matrimoni
patrimoni
d’affetti
e d’affettati
Innaffiati
da vino
scolato in Coppe
d’esultanze
rimostranze
alle mie stanze – illustrate
Mentre passano lustri
Mentre lastrico la strada
di passi
e di passioni
e paesaggi – lunari.

Tu menti – mi rispose.
Non sono io, è la mia: mente – risposi.

Ci risposammo, facemmo pace.

Fu in quel momento che il mio editore
sentì che i nostri silenzi comunicavano.
E capì che il silenzio non è un difetto di parole
ma di Volontà.
E che a volte io dico cose che non sapevo di pensare
perché penso cose che non avrei detto di sapere o saper dire.
Come questa, come adesso
Come sempre
Come me.