Nella notte tra il 24 ed il 25 marzo sono certo di aver vissuto “l’apice più intenso ed acuto di pessimismo emotivo, umano, cosmico, universale mai raggiunto” (come da mio diario). i motivi scatenanti mi sono noti, e così le premesse filosofiche: questa esistenza individuale di autocoscienza che si protrarrà in altri modi e forme per tutta una serie di cicli infiniti (la novitazione), infiniti di (auto)coscienze personali slegate le une dalle altre, che vivranno e patiranno perennemente come è nella natura non umana ma universale, rinchiudendoci irrimediabilmente in una gabbia tragica da cui non sarà possibile scappare, impossibile sottrarvisi se non per brevi momenti di sospensione della coscienza (il sonno, oppure la pausa tra una esistenza e l’altra, come spiegato in oltre la novitazione) – ma comunque intrappolati, sepolti vivi: una tale angoscia, un tale senso di impotenza, di condanna, di moritificazione di mente e spirito da azzerarmi per tutto il prosieguo della notte insonne, e della mattinata lavorativa vissuta da vegetale. Finché, mentre tornavo a casa guidando tra curve note e spesso foriere di intuizioni, ho avuto questo sorta di oscura illuminazione: è vero, questa mia asserzione è logicamente inattaccabile – dal mio punto di vista: è la mia verità filosofica inappuntabile ed inappellabile. Ma, in un universo infinito – che è la premessa di ogni mio ragionamento e di ogni mia conclusione – possono esistere altrettante infinite verità, uguali e contrarie alla mia. E cosa mai mi assicura che la mia sia la verità che prevalga sulle altre? Uno fratto infinito?

Quindi, con un giochetto mentale che mi pone ad una dimensione surreale della storia (mi tengo stretta la mia verità, sapendo che ha probabilità di veridicità pari a zero, senza sapere se sperare che ciò sia un bene od un male – laddove un’altra verità non sia addirittura peggiore della mia – vortici filosofici da apnea), ho superato brevemente angoscia ed attacchi di panico. Ed a questo punto, restando inalterata la preferibilità senza condizioni del non nascere proprio (ennesimo paradosso: perché solo nascendo, e premesso che la non nascita è impossibile perché, come da novitazione – la non esistenza non esiste, dicevo solo nascendo si può in coscienza preferire il non nascere) ne sorge un altro che si appiglia disperato ma ridente a quella sorta di oscura illuminazione: che io possa ritrovarmi in una situazione di cosciente non esistenza preferendola, come da logica del tutto, a qualunque tipo di altra infinita e cosciente esistenza. Si tratta di una ennesima opzione mentale paradossale che per logica, e volontà, non è possibile escludere a priori, in un universo di infiniti universi inimmaginabili.

Rivoltandone gli abissi in cui mi ficcai in una notte rivoltante.