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29 settembre 1994.

20 anni esatti fa usciva l’ultimo album di Lucio Battisti.

Casuale che fosse proprio quella data?

La data di una delle sue canzoni più famose, “29 settembre”?

Casuale che l’ultima Opera bianca avesse quell’imprinting di calen-Dario?

Casuale che l’ultima canzone di quell’album fosse una summa della filosofia di Panella?

E che fosse impossibile costruire attorno a quel testo così stratosferico ed intraducibile una musica quale fosse?

E che Battisti ci riuscì?

Ci riuscì, l’ultima sua voce ufficiale, con una sonorità che squadernò i tempi

che rimane scioccante ancora oggi

e sopra ogni cosa

sopra tutto

con un falsetto venuto da luoghi impenetrabili

del talento purissimo, umano ed oltre?

Era falsetto ed era vero al quadrato:

la chiusura circolare del percorso,

cioè la quadratura del cerchio.

Che bel 29 settembre:

una data

come cosa

ben conservata

lì, ora e a futura sorpresa:


LA VOCE DEL VISO
 
Per insignificanti movimenti
tanti e tanti il volto è tutto
e tutto sta raccolto sopra il tuo bel volto.
Lingua che sei straniera e non si sa se vuoi che io
ti distingua dalla mia o se mia lingua ti finga.
Bocca di gradazioni, intera gamma dalle predilezioni
alla maniera amara.
Bocca che mi sei cara appena appena schiusa quando armatura in te
quella fessura è un dissuadendo le svariate forme labili d'espressione
per tentativi ed approssimazione.
Ed il tuo volto è tutto
nel momento in cui passando sopra la tua immagine
della quale è troppo facile dire che in superficie
affiori l'anima passando sopra alla tua immagine invece
ci si vede intraducibile l'estraneità al lavoro.
Che il volto è tutto
ma non è del corpo al quale pare unito.
Il corpo contentando il senso della nutrizione
il viso l'ascensione, l'assorbenza dell'inappetenza
perchè un bel volto è bello se lo si può guardare
è un disimparare del mondo questo e quello.
Così ci si innamora di un viso in cui l'estraneità lavora.
Il corpo segue come un testimone casalingo e familiare
e di questa apparizione in su la cima.
Quest'opera sensibile il tuo volto che si manifesta ed è
oltre all'ordine della natura. Ecco come tutti i portenti tende a
scomparire
più cerchi di tenerlo a mente e nelle spire dei ritrovamenti portentosi.
E la voce del viso allora nemmeno ricorre ai miracoli
non un riso, un pianto non una smorfia, densa d'oracoli.
Ma dà senso quella voce a un solo volto che sotto il mio
rotola si ferma e freme alle mie mani preme
perchè lo riporti in cima, in vetta al suo sistema dei piaceri.
Secondo un canone, un precetto ed una disciplina
che inumidisce i capelli e per discrezione stende un velo di malore sulla pelle.
Ti spadroneggia allora il tuo godìo disincantato in quanto più è restìo
al racconto lenitivo, al riassunto giulivo.
E non è riso appunto e non è pianto il tuo perchè racconto è il riso
e pianto il suo riassunto.
Sul viso la sintassi non ha imperio, non ha nessun comando.