Archive for Settembre, 2008


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Ieri sera, allo stadio.
Nelle grandi attese di lassù, ho sempre come mio compagno di emozioni da gradinata Bukowski.
Leggo una poesia, un elogio funebre alla più fedele delle macchine.
E’ meravigliosa, dolente, disincantata e commovente.
Così, oggi porto il libro con me in ufficio e lavoro le 3 pagine del testo con angoli e giochi di fotocopie allo scopo di fare uscire l’intera poesia su un solo foglio.
Ci riesco.
Decido di portare con me quel foglio in macchina, di esporlo, di dedicarlo a lei.
Intanto, come non accadeva da mesi, diluvia.
Mi ero ripromesso di lavare la macchina sotto la pioggia, con quell’acqua, non appena fosse caduto giù il cielo.
Sono le 18.10 di venerdì, la settimana è finita.
Ho dei giornali vecchi sotto il sedile. Ne appallottolo i fogli, ne faccio spugnette.
Con una mano reggo l’ombrello, con l’altra strofino la spugna di carta sulla carrozzeria della macchina.
Lo sporco comincia a scrostarsi, e la pioggia porta via le strisce grigie di sudiciume.
Incomincio ad entrare in trance, mi sposto dalle fiancate alla parte posteriore, la targa, i vetri.
Quando la carta appallottolata è oramai un grumo di nero molle, la getto via e ne faccio un’altra.
Vado avanti così per 20 minuti. Nel frattempo, ho dimenticato di reggere l’ombrello sulla mia testa.
Sono tanto bagnato quanto la mia macchina, quanto quella carta appallottolata, consunta e frantumata al suolo.

Allora mi infilo dentro e parto in direzione casa.

Quando sono quasi giunto a destinazione, complice un semaforo rosso, prendo la poesia e comincio a leggerla. Penso contestualmente a quanto sia dolce, ed a dove potrei metterla esposta. Magari sotto il tettuccio interno, o sul vetro. Ad un certo momento, la mia lettura viene distratta da una lucina gialla. Strano, penso: di solito dal rosso si passa direttamente al verde. Cosa c’entra il giallo?

Non era il semaforo.

L’indicatore della benzina da oltre due mesi non funzionava. La lancetta era sotto lo zero, la spia non si accendeva punto, e per decidere quando fare rifornimento mi basavo sul metodo empirico: un tot di chilometri a litro, e raggiunto quel chilometraggio, sosta ai box.
Adesso, dopo una intera estate, al primo diluvio autunnale, la spia torna a funzionare. In questo preciso momento, lì fermo al semaforo, con una poesia in mano che parla di quanto siano sentimentali e fedeli le vecchie vetture, e una macchina per metà pulita e per metà sbigottita. La lancetta dallo zero si impenna lievemente, il serbatoio ha ancora litri. La spia gialla dunque si spegne, torna attivamente a registrare la presenza di gasolio. Infine, lentamente la lancetta si assesta su un quarto di serbatoio (avevo stimato di avere una quantità simile).

Il semaforo è verde.

Parto, completamente stordito ed estasiato da una tale magìa del sentimento meccanico.
Arrivo sotto casa, la strada è un lago. Scendo dalla macchina, salgo le scale, entro in casa, prendo la spugnetta per lavare i piatti, apro un ombrello, scendo nuovamente in strada, e riprendo l’opera di pulizia. Nel frattempo le altre macchine passando alzano ondate di pioggia da terra, che mi investono me impassibile. Io scrosto il nero dalle portiere, dai vetri, dal tetto, dal muso, dai parafanghi, dai fanalini. Forse qualcuno mi osserva rintanato dietro i vetri, la strada è buia e spoglia, a Napoli oggi è festa, ma il vero miracolo è qui. Un passante sul marciapiede: mi crederà pazzo? Ma chi potrebbe mai non esserlo in una situazione simile? Ma chi mai potrebbe vivere una situazione simile? Sono finito dentro un racconto scritto da me sull’acqua con l’acqua. E così vado avanti, per 20 minuti. Decido di fermarmi quando la spugnetta è consumata, un pugno di ciottoli di sabbia. Il mio braccio destro è anchilosato, il polso sinistro che ha retto l’ombrello è dolente.
Rientro a casa più umido di un’anguilla. Mi tolgo i vestiti pesanti fradici, mi faccio una doccia calda. Mangio, sento un amico al telefono, sistemo i video e le foto fatte ieri allo stadio.
Notte quasi, fuori la pioggia è terminata da un po’.
Alzo la persiana, apro la finestra e scatto un paio di foto.

Poi ricopierò qui quella poesia di Bukowski.
La prima doveva essere per lei, la mia.

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BATTISTI NOVE NOVE


 

 

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…il 29 settembre del 1988 fu il primo compleanno della mia vita senza

chi mi aveva dato la vita. Tracci zero sul calendario, da 16 che erano, e

decidi di vagare a caso per strade da ex e finisce che ti

ritrovi a scartabellare una piccolina cassetta che nella tua memoria avrà

poi il colore verde, e non ci si capisce niente.

Poi il tempo si deforma, appunto il tempo, e la vita si conforma, e

attraverso imprevedibili coincidenze perse, altre prese, altre maniglie,

inverni freddi, generali, e tutto ciò che ne consegue, oltrepassi.

In apparenza.

…..

Poi anni dopo sei un uomo (andandoci piano con gli entusiasmi), e vengono

altri 29 settembre, e altri affetti, effetti e cose speciali.

Hai sentito parlare di un album del 1986, si accende la spia memoria nel tuo

rapido ricordo e lasciapassare il verde. Tu te lo fai regalare, e tutto

comincia ad assumere la precisa, esatta sensazione del delirio.

…..

E poi – passando i settembre – io sono impazzito del tutto, mi sono imposto questo delirio

immaginifico per rendere più complicato andarmene un giorno, che mi mancherà

molto quel bianco o verde, e comunque tutto cambia tranne i colori.

…..

Adesso ho scritto altre cose, e non passa giorno che non mi renda più forte

attraverso il sostegno di una sposa occidentale, di una voce del viso, o di

un ricordo, oltre poi tutto il resto, i delfini, i marosi, e vabbè, che cito

a fare, è proprio perchè la solitudine è bella cosa, ma stare zitti in

due o più è ancora stordente e meraviglioso, e comunque qualcuno che mette

su qualcosa lo trovi, e viaggi, ti commuovi, ti sguardi i ricambi di intesa,

e ci vediamo ancora?

Ma non dovevamo vederci più?

E perchè, perchè i ritorni?

…..

Ora: quante migliaia di parole mai dette ci sono dietro le frasi che

riusciamo a comunicare agli altri? Tutti i detti non detti, sepolti tra le

pieghe dell’inconscio, o solo di una sensibilità ferita, che si illude di

nascondersi per non farsi stanare da un mondo di abominio e nefandezze.

Le parole pronunciate sono come i fiori colti, i cibi scelti al ristorante,

le posizioni del sonno o dell’amore, le scelte morali e le azioni

quotidiane.

Nascono da un’apparente libertà, e sono figlie di tutte quelle altre scelte

libere mai compiute, mai vissute, che si dipanano in mille mondi paralleli,

che continueranno a produrre visioni, deliri, sogni e speranze inconfessate.

Le parole dette sono figlie di altri miliardi di mondi negati per sempre.

Sono la sconfitta più alta della coscienza dell’uomo.

per questo vanno volute bene, e conservate come un dono prezioso.

Un dono, la scelta, la faccia scura della solitudine………

E poi il silenzio, comunque.

SOLAMENTE IL SILENZIO MI FA "SENTIRE" MEGLIO.

…..

Ma oggi, oggi, non esiste più linguaggio umano, solo tecnologico e alieno.

Non esiste più corrispondenza, neanche lontana, fra significante e

significato. "Se io dico undici tu capisci sette" – diceva Prince (sempre

1988). Le parole si vendono sugli scaffali della comune incomunicabilità, e

fa gioco a coloro (in bianco e nero, però) che smerciano bugìe luccicanti,

buone a far salire le quotazioni del petrolio, degli affitti e delle

melenzane. Cristallizzato e messo sotto vetro a temperatura di zero assoluto

(-273 ° C.), il linguaggio ex-umano è – all’oggi indefinibile – un astruso

oggetto di 66 cm cubi buono per scagliare l’insignificante oltre il vetro di

qualunque apparenza da Ultimo Stadio.

Ma poi senti-menti un tale che ti dice che "non dobbiamo avere pazienza ma

accampare pretese intorno a noi", e ti ricordi che il linguaggio è il solo

tratto distintivo della razza umana.

L’unica rivoluzione possibile.

Allora la tua testa orchestra un salto logico, da pensiero laterale.

Esiste cioè un’emozione della memoria.

Esiste uno strumento di creazione propriamente umana.

Le due cose sono per definizione antitetiche (come fai a tradurre

un’emozione in parole?)

Cerchi di mediare con una musica dentro.

Fai una fotografia del sentimento.

Metti quella foto sul leggìo del tempo.

La reciti.

Musica sotto.

 

Ecco perchè, per me, Battisti Panella un giorno.

Un gran bel giorno.

Magari un 29 settembre.

il non senso nella mia testa com-bacia e mi bacia.

………………………..

 

Lucio Battisti è morto il 9 settembre del 1998 mentre io stavo seduto sul divano col sole in faccia.

Me lo disse la radio, anagramma di Dario.

29 settembre è la sua canzone, il mio giorno che nacqui e l’ultima data di uscita del suo ultimo album.

Tra 20 giorni è il 29 settembre, ed oggi sono 10 anni che Battisti è morto.

Aspettiamo il ritorno?

Ascoltiamo “i ritorni”.

…e zero vetrine rotte, zero negozi bruciati.
Un trenino rotto.
Mai sfasciare un trenino ad un bambino capriccioso a cui pure l’aereo si è guastato.

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