…il 29 settembre del 1988 fu il primo compleanno della mia vita senza
chi mi aveva dato la vita. Tracci zero sul calendario, da 16 che erano, e
decidi di vagare a caso per strade da ex e finisce che ti
ritrovi a scartabellare una piccolina cassetta che nella tua memoria avrà
poi il colore verde, e non ci si capisce niente.
Poi il tempo si deforma, appunto il tempo, e la vita si conforma, e
attraverso imprevedibili coincidenze perse, altre prese, altre maniglie,
inverni freddi, generali, e tutto ciò che ne consegue, oltrepassi.
In apparenza.
…..
Poi anni dopo sei un uomo (andandoci piano con gli entusiasmi), e vengono
altri 29 settembre, e altri affetti, effetti e cose speciali.
Hai sentito parlare di un album del 1986, si accende la spia memoria nel tuo
rapido ricordo e lasciapassare il verde. Tu te lo fai regalare, e tutto
comincia ad assumere la precisa, esatta sensazione del delirio.
…..
E poi – passando i settembre – io sono impazzito del tutto, mi sono imposto questo delirio
immaginifico per rendere più complicato andarmene un giorno, che mi mancherà
molto quel bianco o verde, e comunque tutto cambia tranne i colori.
…..
Adesso ho scritto altre cose, e non passa giorno che non mi renda più forte
attraverso il sostegno di una sposa occidentale, di una voce del viso, o di
un ricordo, oltre poi tutto il resto, i delfini, i marosi, e vabbè, che cito
a fare, è proprio perchè la solitudine è bella cosa, ma stare zitti in
due o più è ancora stordente e meraviglioso, e comunque qualcuno che mette
su qualcosa lo trovi, e viaggi, ti commuovi, ti sguardi i ricambi di intesa,
e ci vediamo ancora?
Ma non dovevamo vederci più?
E perchè, perchè i ritorni?
…..
Ora: quante migliaia di parole mai dette ci sono dietro le frasi che
riusciamo a comunicare agli altri? Tutti i detti non detti, sepolti tra le
pieghe dell’inconscio, o solo di una sensibilità ferita, che si illude di
nascondersi per non farsi stanare da un mondo di abominio e nefandezze.
Le parole pronunciate sono come i fiori colti, i cibi scelti al ristorante,
le posizioni del sonno o dell’amore, le scelte morali e le azioni
quotidiane.
Nascono da un’apparente libertà, e sono figlie di tutte quelle altre scelte
libere mai compiute, mai vissute, che si dipanano in mille mondi paralleli,
che continueranno a produrre visioni, deliri, sogni e speranze inconfessate.
Le parole dette sono figlie di altri miliardi di mondi negati per sempre.
Sono la sconfitta più alta della coscienza dell’uomo.
per questo vanno volute bene, e conservate come un dono prezioso.
Un dono, la scelta, la faccia scura della solitudine………
E poi il silenzio, comunque.
SOLAMENTE IL SILENZIO MI FA "SENTIRE" MEGLIO.
…..
Ma oggi, oggi, non esiste più linguaggio umano, solo tecnologico e alieno.
Non esiste più corrispondenza, neanche lontana, fra significante e
significato. "Se io dico undici tu capisci sette" – diceva Prince (sempre
1988). Le parole si vendono sugli scaffali della comune incomunicabilità, e
fa gioco a coloro (in bianco e nero, però) che smerciano bugìe luccicanti,
buone a far salire le quotazioni del petrolio, degli affitti e delle
melenzane. Cristallizzato e messo sotto vetro a temperatura di zero assoluto
(-273 ° C.), il linguaggio ex-umano è – all’oggi indefinibile – un astruso
oggetto di
qualunque apparenza da Ultimo Stadio.
Ma poi senti-menti un tale che ti dice che "non dobbiamo avere pazienza ma
accampare pretese intorno a noi", e ti ricordi che il linguaggio è il solo
tratto distintivo della razza umana.
L’unica rivoluzione possibile.
Allora la tua testa orchestra un salto logico, da pensiero laterale.
Esiste cioè un’emozione della memoria.
Esiste uno strumento di creazione propriamente umana.
Le due cose sono per definizione antitetiche (come fai a tradurre
un’emozione in parole?)
Cerchi di mediare con una musica dentro.
Fai una fotografia del sentimento.
Metti quella foto sul leggìo del tempo.
La reciti.
Musica sotto.
Ecco perchè, per me, Battisti Panella un giorno.
Un gran bel giorno.
Magari un 29 settembre.
il non senso nella mia testa com-bacia e mi bacia.
………………………..
Lucio Battisti è morto il 9 settembre del 1998 mentre io stavo seduto sul divano col sole in faccia.
Me lo disse la radio, anagramma di Dario.
29 settembre è la sua canzone, il mio giorno che nacqui e l’ultima data di uscita del suo ultimo album.
Tra 20 giorni è il 29 settembre, ed oggi sono 10 anni che Battisti è morto.
Aspettiamo il ritorno?
Ascoltiamo “i ritorni”.
http://www.starsailor.it/musica/lucio-battisti/
http://www.starsailor.it/musica/monografie/lucio-battisti/#battisti-e-panella-le-cose-che-pensano
http://www.fascioemartello.it/2009/10/16/quel-don-giovanni-di-lucio-battisti/
Ce ne saranno miliardi sparse, però è bello ogni tanto vederne spuntare altre.
Mi fa ricordare quanto è oltre DG
Dopo un anno,
tornare nello stesso
post – oh.
undici anni fa, cioè fa
dieci anni
un anno fa.
poi prosegue al nove
e nove e nove
nove ripetuti perché
al nove non arrivò
nessuna irruenza
di ciascun bianco
che all’otto
appunto
si fermò.
Nove e otto.
Quanti giochi di parole si possono fare
con nove, navi, nevi
e le rime dell’otto
e dell’orto?
Questo post-oh
è un po’ il mio orto.
Si avvicina il 9 settembre…
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_12785/Lucio_Battisti_Il_Gabbianone.htm
Su Hegel:
http://www.nokoss.net/2009/06/26/lucio-battisti-hegel/
Sui bianchi:
http://www.nazioneindiana.com/2007/06/03/lo-sguazzo-dell%E2%80%99ardire-e-dell%E2%80%99osare/
Tra l’altro:
“Fu un’epopea recente della nostra musica leggera, in principio sottovalutata, poi vissuta con culto carbonaro. Solo post-mortem esplosa tardivamente e riconosciuta in tutto il suo valore. Perché fu una tribù, quella battistian-panelliana. I critici più acclamati faticavano a seguire quella scia discografica rarefatta, senza note di copertina, senza indicazioni, senza testi, tutto a sottrarre, mentre il mondo si contraddistingueva per una sovrabbondanza chiassosa e superflua. Senza interviste e senza lo straccio di un’apparizione. Senza televisione! Battisti-Panella era una cittadella a sé stante, in cui vigevano altre regole rispetto al resto del mondo”.
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Il vero ed inestimabile patrimonio ancora inesplorato di Carmelo Bene è costituito dall’ultimo suo testo poetico per la scena, una partitura intitolata “Leggenda”, una composizione pervasa dall’orale del corpo scritto, dalla dinamica sonora, dall’indicibile dell’accadere del mondo, e da arcaismi, assonanze, allitterazioni, idioletti e virulenze.
Di questo progetto, l’11 giugno 2001 Bene scrive al Maestro Gaetano Giani Luporini (già musicista di altri suoi lavori): “L’argomento nasce come idea cimiteriale che innanzi tutto verifica come l’IO nella solitudine sia davvero una ressa rumorosa da spacciare”. E ancora sottolinea “l’autentico automatico come unica possibile destituzione della volgarità dell’umano e dei suoi valori”. Fino a dettarne così il percorso: “ il flusso lirico progressivamente si riduce a scheletro testimoniante il paradosso di una parola destinata a dire il Nulla della Voce-Ascolto”.
Scorrendo le 47 pagine di Leggenda, si ha l’impressione che sul serio Carmelo Bene fosse giunto ad affrancarsi da ogni mediazione filologica e lessicale, fosse andato oltre ogni codice, e ancora una volta e più di sempre fosse stato “straniero nella propria lingua” come con grande acutezza aveva constatato Deleuze.
Leggenda inizia così:
Rassegnare le tue dimissioni imperiali
dal mondo condòmino è non che non basta
a siccome disperso escremento in chissà del mai più figurarti
Nell’un poveraccio ch’è solo tumultua una folla
di strepite voci Babelica ressa
ch’è turbine d’echi stordente in nessuna la fiera
ché implosa ma dentro che svuota
la testa Sbiancate che guance
raccese del sangue l’enfiate
nel soffio deliro dicente non so
vaneggiante la fiaba orfanella
dell’IO che altro più
– poveraccio! – non è
se non questo ch’è solo ed è no
perché troppo Dal coro inghiottito dei tanti
gli estranei sgridato (!)
Ah soltanto esser solo UNA VOCE!
Visitare al meriggio un’amica l’eterna inumana l’inferma
Tra il thè le tisane un’amica
mai nata Per te costruita
a vegliare
che senza comprendere ascolti il tuo dire
che dici ti dice
– finché batte il povero cuore malato –
parole si dice per non si morire…
(…)
E finisce con:
…Signorina impensata tradita
dal sempre mai stata
siccome corrotta che povera cosa
di legno metallo che salma tra i veli relitta
su tanto lo specchio frantume dell’acqua mai più
Morire mi tace quest’alito spento
Te povera guasta la mia signorina disvuole – spietata una sorte
…da tua ch’era quella più sentimentale
– ma quanto animata! – l’insignificanza
a ignavia ch’è questa umiliata di statua
soltanto immortale (!)
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Rodolfo Di Giammarco – Repubblica 18 gennaio 2009
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I bianchi, che ritmano il silenzio circostante, si susseguono secondo un ritmo rigoroso: >, e le suddivisioni > si proiettano >. Il movimento di lettura e di comprensione è accelerato o rallentato, scandito o intimato più che in > come assumeva l’autore, in una visione simultanea e giustapposta del poema. La finzione poetica allora avrà movimenti di vortice e di caduta, sarà frammento e discorso unitario, ipotesi e certezza. Il pensiero, allo stato limbale o a quello della più perentoria certificazione, potrà scaturire come in una “partitura”.
Questo scrive uno dei suoi critici in merito al suo ultimo lavoro.
E questo dichiara l’Artista: “Oggi, senza presumere dell’avvenire di qui nascituro, sia nulla o quasi un’arte, riconosciamo di buon grado che il tentativo partecipa, con imprevisto, alle ricerche particolari e care al nostro tempo, verso libero e poema in prosa. La loro unione si compie sotto una stella, io lo so, estranea, quella della Musica ascoltata ai concerti; se ne ritrovano parecchi mezzi i quali mi parvero appartenere alla letterature, e che io riprendo”.
Il titolo dell’Opera: Un coup de dés jamais n’abolira le hasard.
Un colpo di dadi non abolirà mai il caso.
E Caso davvero strano è questo, visto che l’Artista, Stéphane Mallarmé, è morto il 9 settembre.
1898.
Come sempre, bisogna “fare i conti con il linguaggio”.
Ci riprovo:
“…la tua testa estranea
che rotolò
Cadere la guardai
riflessa tra ghiacciai
SESSANTA volte che
cacciava fuori…..”
SESSANTA volte: cosa?
la testa rotolò sessanta volte?
la guardai sessanta volte?
riflessa sessanta volte?
In ognuna di queste possibilità c’è un movimento continuo e progressivo: una
testa che rotola una, due, tre, dieci fino a sessanta volte, o un guardare
una, due, dieci fino a sessanta volte quella testa che rotola, o una testa –
guardata – mentre rotola e si riflette -tra ghiacciai – una, due, dieci fino
a sessanta volte.
Io conto fino a sessanta.
Prima di sessanta c’è 59.
Ripeto con la parola “ghiacciai”, che nel testo precede immediatamente la
parola “sessanta”, lo stesso procedimento applicato in precedenza:
G = 7
H = 8
I = 9
A = 1
C = 3
C = 3
I = 9
A = 1
I = 9
Ghiacciai = 7+8+9+1+3+3+9+1+9 = 50
Ghiacciai = 9 lettere
50+9 = 59
Prima della parola “sessanta” c’è la parola “ghiacciai”
Prima di 60 c’è 59.
La progressione aritmetica è rispettata.
Non è 60 che “giustifica” ghiacciai.
Ma è consequenziale che – in un movimento aritmetico che giunge a 59
(ghiacciai) segua il numero 60.
Venti anni a cantarla, netti.
“Dicendo abbiamo tempo
ci giri intorno
stemperi e riempi
come dire 103 vasetti”.
Ultimo album: Hegel
Hegel, il sistema in cui le parti hanno senso solo in relazione al tutto.
Linguaggio, musica, codici cifrati, numeri…
Numeri associati alle lettere:
a = 1
b = 2
…….
e = 5
i = 9
j = 10
k = 11
…….
s = 19
t = 20
u = 21
v = 22
x = 23
y = 24
w = 25
z = 26
“vasetti”:
v = 22
a = 1
s = 19
e = 5
t = 20
t = 20
i = 9
Vasetti = 22+1+19+5+20+20+9 = 96
il valore numerico delle singole lettere che compongono la parola “vasetti” ha un senso solo se rapportato al “tutto” in cui è contenuto, cioè alle sette lettere che compongono la parola medesima.
Quindi:
Vasetti = 96
Vasetti = 7 (lettere)
96+7 = 103
“Come dire 103 vasetti”.
“Amarsi è questo:
escludere di essere i soli al mondo
i soli ad esser soli amando
sterminandola
l’invincibile armata”
Anche oggi, se non bastasse il resto pregresso,
mi hai fatto commuovere.
Tutto ciò che ancor di più ho letto e riletto in questo periodo sul più misterioso e meraviglioso “progetto-non-progetto” della musica italiana di sempre avrebbe meritato una menzione, non foss’altro che per quell’intimo ed insondabile piacere nel condividere, con pochi eletti-esegeti-illuminati (illuminati dal duo, chiaro) una sorta di rivelazione che squarcia il velo di nuove insondabili, non rappresentabili e spesso inconsce modalità di interpretazione della realtà (e dell’apparenza).
Con calma e lucida visionarietà, a tempo debito e poi restituito a tassi di interessamento che non mancano mai, dovrò e vorrò fare una bibliografia.
Ma qui riporto la definizione che più si avvicina a quel che ho provato a descrivere in questi miei spazi per quanto attiene al mio intimo rapportarmi con senti-menti rinnovati alle creazioni di Battisti-Panella.
Scrive Lucio Cadeddu: “Capire ed amare le canzoni di Battisti “è un atto inconscio, automatico ed involontario: c’è qualcosa in questi brani che entra piano piano nel nostro intimo, silenziosamente ma inesorabilmente e che ci conquista. All’improvviso anche quei testi così strani assumono un significato preciso e tutti i frammenti di prosa/poesia impazzita del genio Panella si riunificano automaticamente in modo da comporre un mosaico infine comprensibilissimo e mai ovvio. Ascolti ripetuti, per decine e decine di volte, rivelano sempre delle squisite sorprese, giochi di parole, allusioni, citazioni e significati nascosti che erano sfuggiti in precedenza, come se ogni volta fosse una nuova esplorazione di un segreto ramo del labirinto di parole concatenate le une con le altre e musiche che hanno anticipato i tempi, inventando atmosfere musicali nuove ed insolite”.
“Entra pian piano nel nostro intimo”.
Cioè, come spiego per me: penetrano nella dimensione consapevole del mio inconscio aggirando le inutili, retoriche e omologate prassi di una finta spiegazione di facciata e buona per un sistema sclerotico e appiattente, e costruiscono un mondo di rappresentazioni valide perchè vere senza bisogno di controprova, perchè tutto assume IL senso esteso, tutto si tiene, tutto è meravigliosamente perfetto, e finalmente, compiutamente, totalmente CHIARO.
Anzi, per chiudere con Goethe:
“Chi pretende di rimproverare ad un autore la sua oscurità farebbe bene a guardare prima dentro di sé per vedere se vi fa ben chiaro. Nella penombra, anche una scrittura chiarissima diventa illeggibile”.
Allo stato – che persegue pluriennale – per me Battisti-Panella costituisce
L’ILLUMINAZIONE
Manca poco al 29 settembre.
“Mi sono reso conto che fare l’ermetico crea meno problemi, mentre parlare un linguaggio semplice ti espone a maggiori possibilità di essere giudicato. Più gente ti capisce, più hai potenziali giudici di ciò che fai”.
Lucio Battisti.
” C’è chi dice “mi ha derubato perché non capisco”.
Ma cosa vogliono capire? Che la vita è difficile, che l’amore fa soffrire?
Vogliono capire solo quello che sanno già.
c’è chi vuole trovare il senso mancante, come se ciò fosse possibile.
Ma il senso, come loro lo intendono, non esiste.
Sono io che non capisco loro”.
Le parole non hanno significato, perché ne hanno molti.
“Io ho una vocazione parossistica del senso.
Detesto chi ne enfatizza uno soltanto.
E’ un impoverimento della canzone.
Le canzoni hanno bisogno di trovare sempre significati nuovi
e non devono avere speranza”.
Pasquale Panella
Esiste un unico modo per dimostrare le cose che si dicono: semplicemente dicendole. Allo stesso modo in cui, non dicendole, si dimostrano le cose che si pensano.
– Vecchioleviatano –
Partendo da:
“ho stravisto per te, non so chi, non so che”.
il resto viene da sé, io sono fatto così.
Vediamo com’è.
sebbene che
in questa vallata spoglia
che si veste di rampogne dalle fondamenta
fondamentalisti e religiosi
che fanno a gara
intrecciandosi sinuosi
a chi gli conviene di più sperare
che il pupazzo invisibile resti tale
gronf! gronf! – il maiale.
resta che:
mi ascolto a te
che mi tenti e mi tentai
tre volte tanto
come mangiare
leggero nella sera
del dì di testa
mercato avaro
e compilato eseguito
dai padroni scredenti
non può esser così
nel senso
che così
questo pensai
sebbene che camminai
per l’invenzione termica
o soltanto sottomonte
a far precipitare strane parti
ma brindando ad umania
ma che c’entra a star qui?
penso io, penso qui.
questo provai
per tanto che io cantai
la storia infinita.
“tutto il senso che si è” perso
tutti i libri.
Liberamente poco.
“Quando si parla di qualcosa del passato si tende a storicizzare e
impegnare un “c’era una volta”. Parlando di Lucio Battisti, morto nel
’98 appena cinquantenne, il discorso cambia.perché siamo davanti
a un artista che ha nel presente e soprattutto nel futuro il suo campo
d’azione. L’uomo che ha azzerato tutta la canzone italiana, ne ha
trasferito il corso in un piano superiore. E non solo perché le tantissime
canzoni popolari, decine di pezzi ormai entrati nel DNA degli italiani,
tengono viva la sua memoria e si tramandano di generazione
in generazione. Battisti è un istituzione per l’Italia come lo sono i
Beatles per l’Inghilterra o Elvis Presley per l’America. E il mito è
alimentato da un fatto molto semplice: era un artista rivoluzionario,
un innovatore musicale, capace di sposare sperimentazione e genio
pop, di arrivare a milioni di ascoltatori con creazioni molto più
complesse di quanto la loro immediatezza possa far pensare. Uno che
all’apice del suo successo ha capito che per andare oltre c’era una
strada: giocare a scomparire e superare se stesso. Quasi andare
oltre la sua natura umana e, come uno sciamano, portare la sua arte
verso un altro livello. Un incredibile spartiacque come “E già” e i
cinque album con i testi di Pasquale Panella, con gli arrangiamenti che
si fanno sempre più elettronici ma soprattutto più asciutti, con quel
rodeo forsennato di tensioni linguistiche, sono i dischi che portano
la lezione di Battisti nel futuro. Lavori che devono ancora essere
scoperti e decifrati in tutta la loro quasi inumana bellezza. Il Battisti
panelliano getta una luce mortificante su tutto il resto della canzone
italiana, e non solo. L’errore però in cui è facile incappare è quello
di non capire come il secondo periodo di Battisti sia la limpida
risultante del primo, la sua prosecuzione naturale….”
dal libro.
ITALIANI BRAVA GENTE
Agiografie, psicologie, geografie della canzone italiana
di Christian Zingales
Tuttle Edizioni – Giugno 2008
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Quella “quasi inumana bellezza” merita la citazione quissù.
Ieri mi sono fatto Don Giovanni, La Sposa Occidentale e L’Apparenza (ovviamente). Più altre sciolte, chiudendo alle 18 la giornata di ufficio con “La voce del viso”.
Tutto ciò è più facile a dirsi che a dimostrarlo falso, e infatti lo dico perchè non basta il pensiero.
D’ora in poi questo post sarà tutto così.