Category: Sistema Filosofico Vecchioleviatano


Scegliere di restituire l’amore di mio fratello agli elementi primordiali dell’universo insieme a mio fratello e sorella maggiore nel terzo anniversario del congedo di nostro padre dall’esistenza terrena, sulla spiaggia di Seiano a Vico Equense che ci vide Famiglia secoli fa. Ecco: per provare lontanamente ad immaginare quello che sono e sono stato basta il giorno che è ed è stato oggi. Vale innanzitutto per me stesso.

Ti sia di grazia l’immemore ricordo che mi vale una vita intera.

“Across the fields of mourning to a light that’s in the distance.Oh, don’t sorrow, no don’t weepFor tonight at last I am coming home.I am coming home”.

Mi sento finalmente sgravato da un peso esistenziale, o almeno da un cruccio morale che per me era tale. L’idea che potessi illudermi (o riuscire ad illudermi) di scrivere di emozioni, sottolineando i concetti di idea ed illusione, perché so bene che la realtà procede in senso opposto: l’ho messo volutamente a presentazione e senso di questo mio spazio pubblico, che nell’incipit recita: “Se è vero che le emozioni prescindono dal linguaggio (e prova ne sia che anche gli altri esseri viventi – animali in testa, hanno sensazioni inesprimibili perché prive di linguaggio, ma le hanno)” – ed in cui, appunto parlando di illusione, aggiungevo : “Come – cioè – esponenti lontani e successori secolari delle stirpi geniali che nei millenni lo generarono e codificarono (il linguaggio umano), si dovrebbe rivendicare il diritto di appellarsi ad una illusione. Vale a dire che le sensazioni, le emozioni pure più mie ed irripetibili, che non posseggono un linguaggio esterno e nemmeno uno interno, possano esplodere la gabbia della lingua e possano procedere in una dimensione commotiva opposta a quella strumentalmente segnata dalle cifre della lingua” – per concludere in seguente guisa – “allora io mi illudo di inseguire quel sentiero lastricato di candore, dove le mie parole diventino lo strumento malleabile, adattabile e flessibile di un gioco degli specchi, dove i miei suoni, i miei colori, le mie immagini più profondamente “dentro”, ottengano l’omaggio di una fotografia su bianco carta, senza che il codice scritto prenda il sopravvento, ma lasciando che sia l’inarticolato mare di dolore e commozione interiore ad esprimersi come meglio crede, con gli strumenti che ritiene più adatti al frastuono di quella stessa Illusione”.

Bene. Mi sento sgravato dal peso, da quel peso, da ogni possibile peso: quell’aspirazione, come ho sempre saputo, è impossibile. Era il preciso equivalente di un’ultima tentazione di Cristo, di un ultimo scherzo di Joker, di un ultimo colpo di Mano di D10S. Mi sembra tenero appagante significativo e simbolico che ciò abbia trovato conferma grazie al realizzarsi del mio ultimo desiDario adulto, che mi ha concesso il lusso di veder combaciare fenomeno e noumeno, entrandovi dentro come il Capitano David quando attraversa la dimensione spaziotemporale in 2001.

In fondo, era solo una curiosità assai filosofica e metafisica. It’s that all.

Detto ciò – e posto che di post probabilmente ne metterò ancora, e quando proprio sarà che “non ho parole”, mi limiterò a scrivere: IBIDEM (che mi è sempre piaciuto, e tornato sempre utile), mi è venuto in mente un aforisma distillatissimo Vecchioleviatano, che non so se c’entri ma fa tanto e tanto brodo, direi sbrodolone: “mi ero illuso di non avere più paure, ma era solo la paura di non avere più illusioni”.

E poi – a futura memoria – per quel molto e troppo inespugnabile inoppugnabile ed inesorabile segreto che ognuno di noi si porta dentro, assurdamente incomunicabile (che significa ipso facto che la cosa che ammiro di più è quando una persona si suicida senza lasciare scritto nulla) posso con cognizione di causa dire che davvero adesso io

posso anche morire.

Non perché intenda farlo, ma perché ho attraversato il fenomeno e sono giunto al noumeno di quel modo di dire che per me, dalla serata abissale del 04 maggio 2023, tale più non è.


sì, lo so lo so: tu ora mi dirai che sono un cialtrone, un buffone, un chiacchierone.

Uno che – è legge – è stato annoverato tra i più grandi tifosi della storia azzurra, abbonato al calcio Napoli per 12 campionati consecutivi, dalla stagione 2002-2003 – primo acquisto col primo stipendio da regolare dipendente assunto a luglio 2002 – quint’ultimo posto in serie B e retrocessione evitata per un rigore regalato dall’arbitro Nucini come omaggio alla storia sportiva della città ed ai 70.000 disperati accorsi contro la Triestina, alla stagione 2013-2014 (con ultimo match contro il Verona a visione negata causa partita a porte chiuse, costo del match regolarmente scontato (nel senso di condanna e non di sconto) perché compreso nel suddetto abbonamento: i cosiddetti rischi del mestiere). Mi sono fatto 3 campionati di B, di cui il secondo (stagione 2003-2004) con 5 partite a porte chiuse a Campobasso (pagando, cioè, per immaginare via radio 5 puntate di uno spettacolo cimiteriale), 2 di serie C (di cui il primo, stagione 2004-2005, con annesso play-off, regolarmente perso) e 7 di serie A. Fuor d’abbonamento, ho assistito in epoche preMaradoniane ad un paio di salvezze di rigore timbrate Ferrario, ed in epoca divina alle vittorie con Juve e Milan della primavera ’87, quando Diego con tre palleggi consecutivi segnò uno dei tanti gol del secolo. Ero allo stadio il 10 maggio, e non aggiungo altro. Via via, nel quinquennio preabbonamento, mi sono fatto le ossa tra A e B, con due retrocessioni sul campo, una in particolare nel giorno in cui la Roma venne al Sanpaolo (ai tempi si chiamava ancora così) che doveva prendersi il tricolore, noi dovevamo salvarci, finì chiaramente drammaticamente pari, e la storia di quel match (10 giugno 2001) è finita su youtube perché il sottoscritto entrò allo stadio con una telecamera antidiluviana e riprese tutto.  Oltre ciò, ho assistito ad una monumentale sequenza di partite di ogni coppa possibile, coppa campioni (tra cui la prima nella storia del Napoli, 30 settembre 1987), champions league, coppa uefa (tra cui ottavi, quarti, semifinale e finale di quella vinta nel 1989), europa league, coppa italia (manifestazione a cui sono particolarmente legato perché fu lei che mi vide per la prima volta allo stadio, con Zio Salvatore, il 30 agosto del 1981: Napoli Cremonese 1-0 rete di Pellegrini in rovesciata), supercoppe italiane (tra cui quella vinta il 1° settembre 1990 contro la ridicola juve di maifredi, e – udite udite – una finale di supercoppa di serie C persa contro lo Spezia, partita di cui ad occhio mi ricordo solo io e qualche novantenne ligure che ancora non crede possibile poter affermare – senza tema di smentita: “ho sconfitto il Napoli in finale”), play off, play out, insomma la qualunque, e sempre regolarmente andando allo stadio 4 ore prima, sempre allo stesso posto con lo stesso giornale e stesso (variabile) libro di Bukowski, con la stessa bottiglia di acqua mimetizzata nella sciarpa tenuta in mano per giuocare d’astuzia i controlli all’ingresso stile Fantozzi, con i due borghetti regolarmente inseriti nel lato posteriore dei calzini, con la solita regolarità nell’accensione delle sigarette precisamente ad inizio primo tempo, inizio secondo tempo, e circa 25° (o 27°, a seconda del risultato) della ripresa nonché a due minuti dal 90° per allungarmi nel presumibile recupero di 4-5 minuti, con una costanza ed una fede incrollabile sotto ogni punto di vista e da qualunque latitudine la si osservi, e per questo apprezzata a livelli collettivi ed universali, al punto che più volte ho avuto il sospetto che l’arbitro, prima del fischio di inizio, verificasse che io fossi presente per salvaguardare la regolarità del match e dell’intiero campionato. Tutto ciò è vero, è legge (e leggenDario).

Come è vero, però, che dopo il vergognoso furto legalizzato ai miei danni proprio esattamente 5 anni fa, il 29 aprile del 2018, il proverbiale ed ancor oggi insanguinato campionato rubato a Milano e quindi “perso in albergo a Firenze”, e poi dopo quelle manifestazioni plastificate a stadi vuoti circondati da alieni in mascherine per tutto il fottuto anno bisesto, e quindi – a conclusione del suddetto anno peggiore della mia esistenza – dopo la morte del D10S, inesorabilmente anche dentro di me qualcosa, molto, quasi tutto si spense, e – con quello che resta ad oggi il mio epitaffio assoluto – chiusi per sempre con il tifo per il Napoli peraltro sancendo, o meglio ufficializzando la cosa nel giorno del mio mezzo secolo esatto di vita – laddove, nel confronto decennale col post del quarantennio – a vedere cosa restasse e cosa no dei motivi per cui varrebbe la pena vivere la vita se valesse la pena viverla davvero, così, testuale – in merito al tifo azzurro – scrivevo: “Lo scandalo è la sparizione del Napoli. Quando scrissi quel post, se fossero venuti da me queruli e questuanti tutti i me di un futuro cominciato da qualche anno (due o tre) a scandalizzarsi che 10 anni dopo non ci sarebbe stato, li avrei rispediti al mittente, argomentandone con un cenno della mano inequivocabile l’impossibilità. Inequivocabile tanto il cenno quanto l’impossibilità. Che poi come si vede non esiste, al limite l’improbabilità. Che poi come si vede non era potenzialmente tale, nella tremenda fattispecie”.

Vero, tutto vero. Roba di manco un anno fa. Peraltro corredata, nell’ultimo triennio, da sprezzanti sfottò nei riguardi di coloro (colleghi, amici, nipoti vari) che ancora (ancora ai miei occhi disillusi e sarcastici) professavano la loro fede imperterriti, in questi anni postsarriani ancelottiani, gattusiani, praticamente ironicamente genialmente definibili malthusiani (perché sono pur sempre un raffinato filosofo ed intellettuale, pur se per soli 5 secondi al giorno, quando va bene).

Poi però, di lì a poco compiuto il mezzo secolo e tutta sta roba descritta, in un giorno di novembre 2022, mentre di soppiatto di nascosto in un antro semibuio del luogo in cui lavoro, durante una pausa pranzo di tre secondi (visto che non pranzo più dal 2009) mi scimunivo con il mio teorema del quadrangolo magico degli opposti numerici, una mia collega storica e di me più grande mi vide (disperato, perché stavo dando i numeri a me stesso, irridendomi e impazzendo quasi peggio di John Nash) e mi si accostò con pudore per sussurrare nell’aere una domanda che da quel momento mi esplose dentro come un rinnovato big bang. Questo fu il suo semplice dirmi: “Dario, ma tu non tifi più per il Napoli”? Ecco, quel tragico  semplice interrogativo, banale, fintamente distratto, posto in modo accorato e rammaricato da una persona che per secoli aveva vissuto le vicende del calcio Napoli anche e soprattutto attraverso le mie ventennali rendicontazioni, rimpiantizioni, felicitazioni, saliscendazioni costanti e continue sul loculo di lavoro, mi pose faccia a faccia con l’abisso di 50 anni di passione indicibile, estrema, apodittica, che per decenni – ci sono dettagliate testimonianze a supporto – avevo esemplificato in una frase diventata lo slogan della mia vita adulta: “prima di morire vorrei mi accadesse una sola cosa (p.s. nota il “mi”: come fosse un fatto personale e non generale. Perché concerneva il voler vedere non tanto la cosa in sé, il noumeno; ma il come avrei visto me mentre vedevo la cosa, il fenomeno insomma). – “non ori, non successi, non presidenze, non donne a fottìo, ma solo una cazzo di stupida inutile rivisitazione di un’emozione: vedere il Napoli vincere lo scudetto ancora una volta, una sola ultima volta”.

Ecco: da quella data di novembre 2022, è stato un crescendo di pensieri e di autoanalisi calcistiche ed esistenziali che per carità di patria, e per demenza senile, evito di riportare. Con nel mezzo un mondiale dicembrino a tifare argentino e ritrovarmi a lacrimare di gioia quando il 10 li ha MESSI tutti a tacere alzando la coppa… rimembranze… evenienze…coincidenze… E poi, dalla farsa della prima di gennaio, quando i tronfi giornali del nord parlavano di campionato riaperto, è stato tutto un crescendo di sopite pulsioni ad ogni record frantumato, passando per la pagliacciata dei punti restituiti ai ladri bianconeri al passo falso continuato di questo mese oramai concluso, coppa campioni compresa. Ma poi, a chiusura del cerchio, dopo lo stesso gol allo stesso minuto nella stessa porta con lo stesso cross dalla stessa fascia della stessa praticamente data di 5 anni prima, cioè da scorsa domenica sera … si è insinuato LUI.

LUI è quel ragazzo di 17 anni che a conclusione di quell’epitaffio del novembre 2020 scrisse: “Perché quell’adulto sono stato io”. E, in questo incredibile ribaltamento di ruoli, prospettive e sensazioni, cose che come puoi non dico spiegare ma semplicemente vagamente provare a descrivere ad un qualunque altro essere umano se neanche tu stesso riesci a padroneggiarle, quelle emozioni (inerpicandoti sulla tremenda distinzione tra codeste ultime e le sensazioni dell’istante, ma ferme e quasi d’acciaio incastonate per sempre nello stomaco), quello scendere in questi giorni all’alba e guidare verso la fatica e contare la bandiera e lo striscione in più, osservando il cielo senza una cazzo di nube una cazza qualunque da nessuna parte, avviluppato in un azzurro che lui, quello del cielo, era lui che faceva da pendant a sciarpe, stendardi e quale che fosse oggetto, e la musica in macchina, e le lacrime. Bum! Vedi, mi sono avvitato, ho perso il filo ed il fiato, solo a rievocare mi sperdo nei brividi del fato.

Dicevo: LUI mi ha parlato. un monologo tracimante a tratti straziante emotivamente irripetibile.

Attaccando così:

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto ero ancora un liceale minorenne ed oggi, stravolto in una giravolta lunga un terzo di secolo dentro la quale ci è passata ogni cosa, il presente il futuro ed il passato, son diventato un ultracinquantenne?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto mio padre era più piccolo del me di adesso e che adesso, ma proprio adesso ora, oggi, il 29 aprile del 1994, quando l’età di mio padre si sovrapponeva perfettamente a quella di me cinquantenne e mezzo ora, lo accompagnai a Civitavecchia ad operarsi di ernia e la sera, appena rientrati a casa, si ruppe il braccetto della Tipo che avevo guidato per 600 chilometri a 120 all’ora sull’autostrada?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto, ma proprio nell’esatto momento, cioè proprio esattamente oggi, il 29 aprile del 1990, esattamente alle 17.45, erano due anni esatti dal quel 29 aprile del 1988 in cui, alla stessa ora e minuto, mia madre mi disse che era malata e che non aveva tanto paura di morire, quanto di soffrire?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Senna stava per vincere il mondiale di Formula 1 in faccia a Prost sulla Ferrari, Ayrton odiato da tutta Italia e che poi, proprio due giorni dopo quel 29 aprile 1994 suddetto, quello di me e papà con la mia età di oggi di ritorno da Civitavecchia, Senna sarebbe morto in Italia per diventare leggenda anche oltre la sua stratosferica esistenza terrena?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto non esisteva il cellulare e dovevi usare il gettone per telefonare da strada, e girare la rotellina col dito per chiamare da casa ricordandoti il prefisso se chiamavi fuori provincia?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto il computer era uno scatolone di 50 chili a 64 kb che serviva per giocare a mario bros ed arcade o a golf sul soppalco in quattro di noi a fare i fumenti e che internet era assai lì da venire e che questa cosa che sto scrivendo adesso esposta alla mercé del mondo a qualunque latitudine non sarebbe mai potuta uscire dalle pagine di un diario di casa scritto con la penna bic che se la mettevi sottosopra scoppiava e tracimava l’inchiostro e dovevi buttare tutto nel cesso?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto, parlando di diari e di scrittura, non avevi cominciato ancora il racconto della tua vita che va avanti da 24 volumi e 11.154 giorni (compreso oggi) e che le storie che ti piaceva scrivere le vergavi sui diari di scuola o sulle agende che mamma e papà ti regalavano a fine anno e infatti fu proprio su una di queste agende che descrivesti con una perfezione esaltante e coinvolgente – tanto per tornare al tifo azzurro – l’altro scudetto, cioè il primo, resoconto che meritoriamente è finito anch’esso quissù?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto le foto si scattavano su pellicola e se sbagliavi eri fregato e te ne accorgevi solamente dopo averle sviluppate (dal fotografo intrighesso) ma, e che, se si apriva per errore la macchinetta il rullino era bruciato ed ogni fotogramma veniva cancellato?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto la musica si comprava in un negozio e che dovevi prendere la metropolitana per spostarti a chiaia o il motorino per arrivare sul vomero (pedalando in salita perché il boxer non ce la faceva, specie se eravamo in due) e dopo aver scartabellato la confezione di plastica trasparente della cassetta (che se ti andava di culo costava 16.000 lire) la si ascoltava nel mangianastri della radio, una canzone alla volta in rigoroso ordine sequenziale, e che se poi quel fottuto mangianastri non funzionava più in rewind e volevi riascoltarla dovevi girarla ed andare avanti oppure farlo manualmente infizzando la penna nel buco della cassetta e vorticarla con un frenetico gioco di dita?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto esistevano solo 16 tasti sul telecomando perché i canali nazionali erano meno di 10 e se volevi vedere un film o ti piazzavi davanti allo schermo a quell’ora precisa disdicendo tutti i tuoi impegni (che non avevi perché dove cazzo volevi andare, dopo la scuola ed i compiti, la sera a 17 anni, e poi mica tenevi l’oggettaccio che ogni 3 secondi trilla squilla e ti appa l’intera mappatura dei testicoli) o dovevi sperare che il videoregistratore (se ce l’avevi) era stato ben programmato ed il nastro della cassetta non si fosse incastrato o smagnetizzato perché stavi sovrapponendo il tutto al filmaccio porno che per un estremo miracolo avevano dato la notte del sabato precedente su qualche canalaccio locale ed era l’unico modo, ai tempi, per vedere una pucchiacca o un capezzolo, a parte i giornalacci che compravi di soppiatto in edicole malfamate facendo la conta con gli amici per stabilire chi dovesse sottoporsi al supplizio di andare dall’edicolante a farsi guardare storto manco fossi un irrimediabile pervertito sessuale, che poi quello non se ne fotteva un cazzo di te e delle seghe che dovevi farti, gli bastava che cacciassi i soldi e ti levassi rapido dai coglioni con la tua aria da pudico imbranato?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Marco Pantani non aveva ancora vinto il giro d’ Italia – intendo neanche quello dei dilettanti?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Ivan Lendl se la giocava ancora a Wimbledon contro Edberg e Becker?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Alberto Tomba era dato per fallito dopo due anni di merda seguiti agli ori alle Olimpiadi di Calgary?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto “non ho una lira” era un’espressione assolutamente sensata (per quanto spesso non veritiera) e che con l’equivalente dei 100 robi di adesso ti facevi una vacanza estiva intera girando in interrail?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto la Phonola Caserta non aveva ancora vinto il campionato malgrado Oscar Esposito Gentile e Dell’Agnello, e che poi sarebbe arrivato Shackleford che io chiamavo Sciaccalaccabù per citare un divertissement di Prince in Housequake?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto qui a Napoli aspettavamo con ansia il nuovo film di Troisi, il nuovo libro di De Crescenzo, il nuovo disco di Pino Daniele, la nuova intervista di Gianni Minà, e che oggi sono tutti regolarmente amaramente di là?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto non avevo ancora percorso nemmanco uno dei circa 500.000 ad oggi chilometri alla guida di una vettura da pendolare di sventura, e non avevo mai volato fino al punto di decidere terrorizzato di non volere volare più, sancendo poeticamente la presa di posizione (da fermo, a terra) in uno dei miei aforismi più circostanziati veritieri e lapidari “volando sono atterrito, commosso e grato sono atterrato“?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto, di là dall’adriatico esisteva una nazione chiamata Jugoslavia dove ci persi un ciuccio in un’estate di millenni fa, e di là dal mondo uno spauracchio chiamata Urss che poi il vero spauracchio era quell’altro?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Dalla, Battiato, Battisti, Freddie Mercury, David Bowie e il Principe di Minneapolis erano tutti ancora lì a farti sognare mentre registravano in studio il loro nuovo album?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Stanley Kubrick, Woody Allen, Martin Scorsese, e Gabriele Salvatores, o te li vedevi al cinema o dovevi aspettare anni, se e quando li passavano in tv, altro che pay, youtube, streaming e tutte le altre misteriose eternazioni visuali e visionarie della rete che ci imprigiona tutti?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto vivevo ancora insieme a sorella e fratello maggiore mentre il piccolino era di stanza a Calambrone, ed oggi il maggiore e la maggiore son 4 volte genitori ed il piccolino è tornato con me alla casa del padre e qui dorme in un’urna sopra il comodino?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto la domenica mangiavo a casa della nonna prima dell’inizio di tutte le partite in contemporanea alla radio alle 15, perché in tv non le trasmettevano manco per il cazzo e poi dovevi aspettare 90° minuto per vedere a stento i gol e provare a capire se avevi meritato, demeritato, giocato bene, o male, o realmente giocato e che non fosse tutta fantasia ed invenzione della tivù, come peraltro spesso era ed è ancora?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto questo enorme moloch che si chiama Vecchioleviatano, e che rappresenta tutto ciò che mi sarebbe sempre piaciuto essere e che – come tale – esiste solo nel mondo virtuale (mondo che all’epoca non esisteva neanche in modo virtuale) e non in quello reale e che però e perciò, nel paradossale mondo reale dell’illusione esistenziale che mi appartiene, è la cosa realmente più bella che ho, questo Vecchioleviatano erano solamente due parole slegate, vecchio come anziano e Leviatano come Hobbes, e non avrebbero mai pensato di unirsi insieme perché nessuno aveva immaginato di poterlo fare?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto Maradona era il mio Capitano?

te l’ho già detto che quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto non sapevo cosa fosse l’amore e ancora oggi, malgrado ne abbia ricevuto a profusione, più che non saperlo non l’ho ancora precisamente compreso o forse o meglio non ho ancora ben compreso come si possa ricambiare questo grato mistero in modo tanto vero e spontaneo quanto sistematicamente gratuito.

Ecco: LUI parlava, parlava, non la smetteva più. Come anticipato, la sensibile demenza senile mi trattiene dal ricordare tutto. Eppure, una cosa del genere, una persona del genere, una storia del genere: come potevo esimermi dal tenerla nascosta? Proprio oggi, un 29 aprile: una data che come un misterioso incantesimo torna e ritorna come i ritorni di Battistiana memoria? Voglio dire – e chiudo, ma siamo in due a parlare adesso: alla fine, se non si fosse capito, sono tutti morti. Tutte queste storie, questi miti, questi personaggi, queste leggende, queste esistenze, queste anime del mondo di quando il Napoli ha vinto l’ultimo scudetto: sono tutti morti. Ma qui, ora, oggi, 29 aprile 2023, te lo scrivo e te lo detto: il Napoli ha veramente vinto, un terzo di secolo dopo, un terzo scudetto.

Ora puoi commuoverti e piangere di gioia: in fondo, era il tuo unico desiDario.

dice che il tempo passa.
non propriamente.
il tempo è infinito (o più correttamente: illimitato) nella costruzione mentale che un essere vivente può provare a concepire, in quanto elemento portante delle dimensioni dell’universo esistente, finito ma illimitato, secondo l’accezione Einsteiniana dello spazio-tempo-mondo creato, formato e deformato dalle masse e dalle energie che contiene;
e ma che, quello stesso essere vivente, nel conTEMPO, è concettualmente, tecnicamente, materialmente impossibilitato a fare, a concepirlo razionalmente, sensatamente, definitivamente.
Ne deriva che:
il tempo in realtà non passa
che la deriva appartiene esclusivamente all’uomo.
siamo noi che passiamo
passo dopo passo
molto spesso passivamente
appassendo e svanendo
e passando la mano continuamente
– continuativamente –
e non solo quella
ma anche tutto il resto del corpo
finché di colpo
di tempo non ce ne resta più.

noi all’impasse
e lui lì immobile
impassibile
impassato
intrapassabile

(non metto il punto)

Esattamente a 50 anni e 50 giorni mi sono imbattuto nel teorema del quadrangolo magico detto pure quadrangolo dei magici rovesci o dai magici rovesci (tanto è tutto un delirio).
E’ accaduto tutto per caso, come già in occasione del visionario estivo teorema del cateto fisso di un triangolo rettangolo di Pitagorica conoscenza, e dell’altrettanto estemporaneo teorema della regola degli opposti numerici (che peraltro ricoprirà un ruolo non secon-dario in questa febbrile dissertazione).

PARTE I

Giovedì 17 novembre, 50 anni e 49 giorni dopo la mia nascita, ero in macchina guidando verso la fatica e, come spesso mi accade, stavo ragionando su un calcolo economico. Ora: quando devo moltiplicare due numeri, ciascuno di norma a doppia cifra (se non più), utilizzo una formuletta assai banale: raddoppio l’uno e dimezzo l’altro (solitamente il numero pari, soprattutto se multiplo di 4) fino a ridurre una delle due cifre al suo divisore base, tal da rendere il prodotto di elementare semplicità. Esempio: devo moltiplicare 27 per 32. Lo trasformo mentalmente in 54 per 16. E quindi in 108 per 8, a seguire 216 per 4 (che già basterebbe per giungere alla meta), infine 432 per 2. Fatto. Chi non sa moltiplicare (o dividere) un numero per 2? è l’operazione più semplice che esista. Qui si procede su un piano parallelo, una cifra raddoppia e l’altra dimezza, fino ai termini minimi in cui il cui calcolo si riduce all’essenzialità.
Mentre pertanto mi trovavo alle prese con un grossolano 84 x 24, e ci giravo attorno con una certa boria, tratto in inganno da tutte quelle cifre in 2, 4 ed 8 – così apparentemente innocue e così apparentemente riducibili a basi elementari (42 x 48 e quindi 21 per 96 e… ma no! che roba è? aspetta un attimo, ripartiamo da capo, tra una marcia e una curva), e girando e circumnavigando e tornando appunto all’indietro – rimanevo folgorato dalle cifre precedenti: 42 per 48. Come sarebbe a dire che 84 x 24 è uguale a 48 x 42?! Cioè: è ovvio che il prodotto sia uguale, sto applicando la mia formuletta, che dimezzo l’uno e raddoppio l’altro, ma… il concetto assurdo è che, facendo così, ottengo uno stesso prodotto da due numeri rovesciati nelle cifre!!!
Tradotto: 84 moltiplicato 24 è uguale a 48 (rovescio di 84 e doppio di 42) moltiplicato per 42 (rovescio di 24 e metà di 84). Se invece di raddoppiare e dimezzare, inverto l’uno e l’altro, ottengo lo stesso risultato.
Insomma… Ho segnato nella mente queste due cifre in attesa di sedermi a tavolino, perché la mia guida si era fatta alquanto nervosa. Una volta su terra ferma, provando a ragionarci su, provando a capire se fosse un caso, o il frutto di una logica matematica e casomai quale, applicando il metodo scientifico, mi sono messo alla ricerca di altre coppie simili ed ecco infine che dal cappello del cerebro sfatto di un mezzosecolista ex matematico per passione veniva fuori un’altra combinazione: 82 per 14, il cui prodotto è esattamente uguale al prodotto degli stessi due numeri rovesciati: 28 x 41. Ripeto: non sorprende che entrambe le moltiplicazioni diano 1.148 come risultato, visto che sto dimezzando 82 e raddoppiando 14. Ma io però in questo caso non le stavo raddoppiando e dimezzando, eh no: le stavo rovesciando! E, se rovescio le cifre, automaticamente, incrociatamente, ne dimezzo una e ne raddoppio l’altra!!!
Una misteriosa logica (?) matematica che si applica solamente in taluni casi: se infatti torniamo all’esempio iniziale, di 27 x 32, e rovesciamo le due cifre in 72 x 23, non otteniamo né cifre doppie e dimezzate, né prodotto uguale dalle due moltiplicazioni.
E così, nella notte seguente insonne in cui esattamente si compiva il percorso dei 50 anni e 50 giorni, tra le nebbie febbrili del delirio, ed il rimbalzo delle cifre di sopra, ho avuto un trasalimento metodico che mi ha permesso di forzare la serratura iniziale di questo mistero matematico.
E, parlando di coppie di numeri a due cifre (per iniziare, ma il risultato finale risulterà valido per numeri di QUALSIASI cifra), dopo aver scovato l’elenco esatto di tutte le coppie di numeri a due cifre il cui prodotto non cambia se rovesciamo le cifre di ciascuno di essi, sono giunto – intanto – alla formulazione del teorema del quadrangolo magico detto pure quadrangolo dei magici rovesci.
Che è la seguente: dicesi quadrangolo magico detto pure dei magici rovesci o dai magici rovesci, quel quadrangolo i cui due lati sono costituiti da numeri interi per cui, rovesciando ciascuna delle due cifre, si ottengono due numeri che costituiscono un minimo ed un multiplo incrociati dei due numeri di partenza tali che il loro prodotto (detto anche area del quadrangolo) è uguale al prodotto dei due numeri di partenza. Ovvero: i due quadrangoli hanno la stessa area.

Per semplificare:
1) 24 x 21 = 42 x 12 = 504
2) 26 x 31 = 62 x 13 = 806
3) 28 x 41 = 82 x 14 = 1.148
4) 42 x 12 = 24 x 21 (già visto in 1))
5) 46 x 32 = 64 x 23 = 1.472
6) 48 x 42 = 84 x 24 = 2.016
7) 62 x 13 = 26 x 31 (già visto in 2))
8) 64 x 23 = 46 x 32 (già visto in 5))
9) 68 x 43 = 86 x 34 = 2.924
10) 82 x 14 = 28 x 41 (già visto in 3))
11) 84 x 24 = 48 x 42 (già visto in 6) e genesi automobilistica automotivante di tutto il delirio)
12) 86 x 34 = 68 x 43 (già visto in 9))
————————————————————————————————————————
Il trasalimento metodico di cui parlavo, che mi ha permesso di trovare quelle coppie di numeri interi a due cifre per i quali valeva il teorema del quadrangolo magico, mi pareva assai banale. In seguito, estendendo i calcoli ai numeri a tre cifre, e quindi a quattro, ed ad anche a 10.000 cifre (volendo) ho verificato però che questo metodo reggeva il gioco al teorema del quadrangolo magico, tal da potermi permettere di dire se un qualunque numero (ed il suo opposto) potesse rientrare nel teorema e, se sì, anche con quale altro numero (e suo opposto) a far da coppia.
Il metodo è questo: per trovare una coppia magica, si deve partire da un numero pari che abbia al suo interno solamente cifre pari, indipendentemente dalla cifre che lo compongono (26, 248, 4684, 8844624, et cetera = sì; 36, 274, 4654, 8844326, et cetera = no). Questo numero viene diviso per due. La metà ottenuta viene rovesciata. Il numero ottenuto farà coppia con il numero di partenza e con esso costituirà i due lati del quadrangolo magico. Un ulteriore assioma stabilisce anche che, se l’inverso della metà del numero di partenza è ancora divisibile per due (e composto dalle sole cifre pari 2 e/o 4), possiamo ottenere un altro numero che – insieme al suo doppio – potrà far coppia con il numero di partenza.
Esempio:
Prendo un numero pari con sole cifre pari: 84
La sua metà è 42.
Il suo rovescio è 24
Coppia magica sarà 84 e 24 (caso 11))
Infatti 84 x 24 è uguale al prodotto dei loro rovesci 48 x 42 = 2.016
Ma, dato l’assioma di cui sopra, poiché il rovescio della metà di 84 (cioè 24) è ancora divisibile per due ed è composto solamente da numeri pari 2 e 4, anche questa metà (cioè 12) farà coppia magica con 84!
Infatti 84 x 12 = 48 x 21 = 1.008

Non si sfugge: quali che siano le cifre di un numero, se questo è pari ed è composto da numeri pari, la regola varrà SEMPRE.
Esempio a 4 cifre:
Numero di partenza = 8.624
Metà = 4.312
Rovescio = 2.134
Coppia magica: 8.624 e 2.134
Infatti 8.624 x 2.134 = 4.268 x 4.312 = 18.403.616

E, se anche la metà del rovescio della metà del numero di partenza è un numero pari, avremo due coppie di numeri magici
Esempio a 3 cifre:
Numero di partenza = 488
Metà = 244
Rovescio = 442 (composto solamente da cifre di 2 e 4 )
Prima coppia magica = 488 e 442
488 x 442 = 884 x 244 = 215.696
Metà del rovescio = 221
Altra coppia magica = 488 e 221
488 x 221 = 884 x 122 = 107.848

PARTE II

Dopo aver fatto tutto questo cammino, tra il larvale principio del giovedì, il venerdì notturno rivelatorio, il sabato e la domenica di prove, calcoli e scritture, mi sono sostanzialmente convinto che la ragione (matematica) per cui la regola dell’opposto (o rovescio) funziona, è che si basa sulla regola degli opposti numerici in base 9. Infatti, la differenza di ogni numero per il suo opposto è sempre divisibile per 9, che a sua volta è un quadrato perfetto (3 x 3). Se si prende qualunque numero di partenza ed ad esso si sottrae il suo opposto, il numero ottenuto – in valore assoluto – sarà sempre divisibile per 9.
Esempio:
42 – 24 = 18 (multiplo di 9)
246 – 642 = 396 (multiplo di 9)
86884226 – 62248868 = 24635358 (multiplo di 9)
Vale per tutti numeri. Tutti.
Anche perché, come controprova, c’è che per ogni coppia numerica diversa da quella che forma il quadrangolo magico (cioè sostanzialmente se si prendono due numeri a caso di qualunque cifra) la differenza del prodotto tra i due numeri ed i loro opposti sarà sempre comunque assurdamente anche qui divisibile per 9. Provare per credere.
Prendo due numeri a caso: 27 e 73.
27 x 73 = 1971
72 x 37 (prodotto degli opposti) = 2664
2664 – 1971 = 693 (multiplo di 9)
Or:
25983 x 47731 = 1240194573
38952 x 13774 (prodotto degli opposti) = 536524848
1240194573 – 536524848 = 703669725 (multiplo di 9)

In pratica, l’assioma è questo: poiché la differenza tra un qualunque qualsiasi numero a caso ed il proprio opposto è SEMPRE un multiplo di 9, se si prendono due numeri a caso (a, b) e si considerano i loro opposti, la differenza tra il prodotto incrociato dei 4 numeri (a per l’opposto di b meno b per l’opposto di a) sarà sempre uguale, in valore assoluto, ad un multiplo di 9 oppure pari a zero (caso della coppia magica).

Lo so, il fatto che tutto questo si regga sul 9 e la sua misteriosa magia nel produrre tali risultati è una convinzione non supportata da una qualche dimostrazione, non saprei neanche cosa e come impostarla. Ma è un salto della fede come fece Indiana Jones e del resto non si chiedon prove alle fedi religiose e le si pretendono da quelle matematiche? Siamo seri.

A questo punto però, non potendomi accontentare di aver scoperto un metodo ed una regola precipuamente valida solamente per numeri pari di stesse cifre, sono passato alla gravosa questione dei numeri dispari. E, mentre mi autoconvincevo (nel frattempo siamo tra lunedì mattina e pomeriggio) che questa storia funzionasse (potesse funzionare) solamente con i numeri pari, magari non necessariamente di uguali cifre, mi è venuto in sogno – letteralmente, durante 20 minuti di riposo pomeridiano – una coppia di numeri che, non solo erano sparigliati nell’essere l’uno pari e l’altro dispari, ma pure nelle cifre che li costituivano, l’uno di 2 e l’altro di 3 cifre.
La visione mistica è stata cioè questa: 12 e 231.
Ripeto: in sogno, LETTERALMENTE.
12 x 231 = 21 x 132 = 2.772.
Ero al delirio.
Che connessione c’era tra questi numeri?
Il mistero risiedeva tutto lì. Era chiaramente un messaggio arcano formulato dal dio della matematica. Allora ho avuto finalmente un’illuminazione, e di qui la scoperta decisiva: che, considerando la coppia magica, il rapporto tra ciascun numero ed il suo opposto – nel caso specifico 21/12 e 231/132 era uguale, e precisamente 1,75. Vale, ovviamente, anche l’opposto: 12/21 = 132/231 = 0,571428 eccetera.
Così, con banale evidenza, ho realizzato che il teorema del quadrangolo magico varrà per tutte quelle coppie di numeri i quali, divisi per il loro opposto, daranno/avranno lo stesso risultato!!!!
Di qui in poi si è tracimato: avendo scoperto la legge fondamentale che regola il teorema, sono sbucate altre coppie magiche – non solo pari.
Per limitarci ai primi 100 numeri:
13 x 93 = 31 x 39 = 1.209
26 x 93 = 62 x 39 = 2.418
12 x 63 = 21 x 36 = 756
24 x 63 = 42 x 36 = 1.512
48 x 63 = 84 x 36 = 3.024
23 x 96 = 32 x 69 = 2.208
46 x 96 = 64 x 69 = 4.416
Fine dei giochi: il teorema era tratto. Con una tabella di calcolo ho così cercato tutte le coppie magiche tra i primi mille numeri, escludendo necessariamente:
1) i primi 9 numeri che non creano opposti
2) i numeri con cifre uguali (11,22,33 ecc. 111,222, 333, ecc.) che non creano opposti diversi
3) i numeri che finiscono con zero e che creano opposti bi-triunivoci (1 è sia opposto di 10 che di 100? 21 è opposto sia di 12 che di 120?)
Ed ho trovato centinaia di quadrangoli magici composti dunque da centinaia di coppie numeriche magiche o dai magici rovesci.

Post scriptum. Certo tu mi dirai: trattasi sempre di coppie numeriche composte di multipli e divisibili perfetti (esempio a caso 12 x 63 = 21 x 36, laddove 63 è multiplo di 21 e 36 è multiplo di 12, entrambi in base 3), ma io ti risponderò, a maggior ragione, della misteriosa magia di tuttò ciò: quale legge matematica fa sì che due numeri si incontrano per la via, fanno una giravolta su se stessi, si trasformano in multipli e divisori l’uno dell’altro in misura così perfetta che le 4 cifre prodotte vadano a comporre due quadrangoli con la stessa area?

CONCLUSIONE

In buona sostanza, se si costruisce una tabella con qualsiasi numero composto da qualunque cifra, e si considera il suo opposto, e si procede a fare il rapporto tra di essi, quando questo valore di rapporto sarà esattamente uguale a quello tra un qualsiasi altro numero preso a caso ed il suo opposto, avremo trovato la coppia magica numerica!
Esempio: tra i primi 1000 numeri, il valore di rapporto che ricorre più volte (7) tra un numero ed il suo opposto è = 0,571428571428571
Lo ritroviamo in questi 7 casi:
12, 24, 36, 48, 132, 264, 396.
Cosa significa? che se ciascuno di questi numeri si accoppia con uno qualsiasi degli altri 6, costituirà sicuramente una coppia magica.
Prendiamo la coppia costituita da 36 e 132
36 x 231 = 132 x 63 = 8.316
Oppure la coppia costituita da 12 e 264
12 x 462 = 21 x 264 = 5.544
E via così.
Certo, un elaboratore più efficace ed efficiente della mia vecchia testa mezzosecolista sarebbe in grado di elaborare per tutti i numeri esistenti una classificazione semplice semplice raggruppando tutti i rapporti uguali tra un numero ed il suo opposto in gruppi di numeri magici e dire quanti ne esistono. Ma io, su mille, me la sono cavata bene. E comunque ho scoperto (o inventato) un teorema di cui non avevo mai sentito parlare.
Infine, grazie al supporto informatico di un vecchio compagno di strada a cavallo, mi è stato donato un foglio excel in cui sono stati rigorosamente elencati i primi 100.000 numeri, con a fianco i loro rispettivi opposti, ed a fianco il valore del loro rapporto. Se per ognuno di questi valori di rapporto tra un numero qualsiasi ed il suo opposto (quale che sia questa cifra) faccio un “cerca” e ne trovo un altro (o altri) su 100.000 numeri, avrò trovato una coppia magica in grado di dar vita ad un quadrangolo altrettanto magico.
Come unico esempio: il rapporto tra 12 ed il suo opposto 21, è uguale a = 0,571428
Se nel file cerco questa cifra (0,571428), il programma mi rimanda, per i primi 100.000 numeri, ad altri 40 (ad esempio 132, 1572, 2304, e mi fermo qui) il cui rapporto col proprio opposto è pari a 0,571428. Pertanto, ognuno di questi numeri, accoppiandosi con uno qualsiasi degli altri 39, potrà dar vita ad una coppia in grado di generare un quadrangolo magico!
Infatti:
12 x 231 = 21 x 132 = 2.772
1572 x 4032 = 2751 x 2304 = 6.338.304
eccetera.

Fine del teorema.

(io non so cosa significhi tutto ciò, però finalmente ho compreso, nel mio mezzosecolo preciso, la verità dell’espressione dare i numeri in luogo del dar di matto. Anche perché, non bastasse sta roba, come che mi ero ripreso da tutto sto delirio è saltata fuori, sempre mentre guidavo, ed in mezzo ad un altro paio di brevi considerazioni a margine qui all’interno linkate, la voglia di scrivere un trattato sulla ciclicità dei giorni, che è successivo al presente teorema ma lo precede come tempistica sul blog, forse per una questione di inversione che ha un senso inconscio tutto suo o tutto mio ma di codeste cose è inutile verbare).

Come tutti ben sappiamo, in un anno (standard) ci sono 365 giorni, vale a dire 52 settimane (52 x 7 = 364) con l’aggiunta (o resto) di un giorno. Ciò, in virtù del fatto che la terra impiega circa 8766 ore per compiere una rotazione completa intorno al sole (moto di rivoluzione). L’approssimazione più efficace si realizza dunque con 365 giorni di 24 ore pari a 8760 ore in un anno. Le marginali 6 ore vengono recuperate ogni 4 anni aggiungendo un giorno (cioè 6 ore x 4 = 24 ore = 1 giorno) al calendario: ecco l’anno bisestile.

Ora, il fatto che in un anno (standard) ci siano 52 settimane + 1 giorno, fa sì che ogni giorno settimanale slitti di una casellina nel passaggio da un anno all’altro.
Esempio: il 29 settembre del 1972 è venerdì (ovviamente, di qui in poi, partirò sempre da questa infausta data, dato che ci feci pure l’infame tabella che deve essermi scoppiata inconsciamente dentro a genesi del delirio che in crescendo seguirà in questo post). Dicevo:
il 29 settembre del 1972 è venerdì
Nel 1973 il giorno slitterà di uno ed il 29 settembre cadrà di sabato
Nel 1974 di domenica.
Nel 1975 di lunedì
E nel 1976, essendo anno bisesto, slitterà di 2 (quindi cadrà di mercoledì e non di martedì), come per tutti i giorni di quell’anno che vengono dopo il 29 febbraio. Gli unici due mesi che in un anno bisesto continueranno a veder slittare i propri giorni settimanali di uno rispetto all’anno precedente sono dunque gennaio e febbraio, poiché il giorno in più cade appunto a fine febbraio. Talché, lo slittamento di due giorni per i mesi di gennaio e febbraio si avrà nell’anno successivo a quello bisesto
Esempio: il 01 gennaio 1973 è lunedì
Nel 1974 il 01 gennaio cadrà di martedì
Nel 1975 sarà di mercoledì
Nel 1976 continuerà a slittare di uno, perché il giorno in più (29 febbraio) deve ancora venire, e cadrà di giovedì.
Ma nel 1977 slitterà di 2 e cadrà di sabato.

Ah: a beneficio di quanti si fossero messi in visione ed all’ascolto solo in questo momento, ricordo che l’anno bisestile, forse per una sorta di giocosa simmetria con la sua cadenza quadriennale (che ci evita di complicare le cose – per modo di dire) cade sempre quando le due cifre finali che lo compongono sono pari e divisibili per 4: 1904, 1908, 1912 eccetera di 4 in 4 fino al 2000, e poi nuovamente 2004, 2008, eccetera. Le ultime due cifre sono tutte divisibili per/multipli di 4).

Bene: queste sono cose che tutti sanno. Ma quindi, quanto tempo ci mette un giorno qualsiasi di un anno qualsiasi a compiere il suo moto di rivoluzione rispetto ai 7 giorni settimanali? Se il 29 settembre del 1972 è venerdì, quanto ci metterà il 29 settembre a tornare di venerdì negli anni successivi? La risposta è altrettanto ovvia: ci metterà 6 anni se tra le due date c’è di mezzo un anno bisestile, e ce ne metterà 5 se tra le due date ci sono di mezzo due anni bisestili.
Esempio: tra il 29 settembre 1972 ed il 29 settembre 1978 c’è di mezzo una sola data bisestile (il 29 febbraio del 1976) e pertanto entrambe le date cadranno di venerdì.
Invece, tra il 29 settembre 1975 ed il 29 settembre 1980 ci sono di mezzo due date bisestili (il 29 febbraio 1976 ed il 29 febbraio 1980) e pertanto il giorno della settimana in cui cadrà (lunedì) ci metterà solo 5 anni per fare moto di rivoluzione settimanale.

Ma quanto ci mette un intero anno ad avere esattamente gli stessi giorni di un altro anno? Nell’esempio di sopra, anche se il 1972 ed il 1978 hanno parecchi giorni uguali (dal 01 marzo al 31 dicembre) così non è per i mesi di gennaio e febbraio, perché il primo è un anno bisestile, l’altro no (che tradotto, significa che gennaio e febbraio hanno giorni differenti tra i due anni). Lo stesso dicasi per i giorni del 1975 e del 1980, tanto per riprendere il secondo esempio, poiché il 1980 è altrettanto bisesto.
Però, ci sono anni che non sono bisestili, che hanno un solo bisesto tra di essi, e che dunque hanno giorni precisamente uguali dall’inizio alla fine, ad esempio il 1973 ed il 1979 (con in mezzo solamente il 29 febbraio 1976, e con dunque 6 slittamenti + 1 da bisesto = 7 cioè settimana completata).
La sola differenza tra i due anni è che il primo viene dopo un bisesto, l’altro lo precede. Magari è una minuzia, ma non per me.

In virtù di quanto detto tutto compreso, ne deriva che per avere due anni che sono esattamente uguali nei giorni, nella lunghezza, e nel posizionamento rispetto ad un bisestile (precedendolo come il 1979, o seguendolo come il 1973, o posizionandosi a mezza via come il 1978) o essendo essi stessi due bisestili, bisognerà aspettare esattamente: 7 giorni settimanali x 4 (un bisesto ogni 4 anni) = 28 anni.

Tradotto:
il 1972 ed il 2000 avranno gli stessi giorni e la stessa durata (sono entrambi bisestili)
il 1973 ed il 2001 avranno gli stessi giorni e la stessa durata (365 giorni) ed entrambi seguono un bisesto.
il 1974 ed il 2002 avranno gli stessi giorni e la stessa durata (365 giorni) ed entrambi si collocano a metà tra due bisesti
il 1975 ed il 2003 avranno gli stessi giorni e la stessa durata (365 giorni) ed entrambi precedono un bisesto.

Riassunto:

1) Giorno di anno bisesto torna dopo anni = 6 + 11 + 6 + 5 (totale 28 cioè 7 x 4 e si riavvia il ciclo)

2) Giorno di anno post bisesto torna dopo = 6 + 5 + 6 + 11 (totale 28 e si riavvia il ciclo)

3) Giorno di anno medio tra bisesti torma dopo = 11 + 6 + 5 + 6 (totale 28 e si riavvia il ciclo)

4) Giorno di anno pre bisesto torna dopo = 5 + 6 +11 + 6 (totale 28 e si riavvia il ciclo)

Esempio:
1) 29 settembre 1972 è venerdì e torna di venerdì nel 1978 (+6 anni, ma il 1972 è bisesto ed il 1978 no), poi nel 1989 (+11, ma il 1972 è un bisesto, il 1978 un medio tra bisesti, ed il 1989 segue un bisesto) poi nel 1995 (+6, ma il 1995 precede un bisesto, a differenza degli altri 3 anni in cui è caduto di venerdì – 1972, 1978, 1989) ed infine nel 2000 (+5, e si chiude il ciclo dei 28 anni, 1972 e 2000 sono entrambi bisesti)
2) 29 settembre 1973 è sabato e torna di sabato nel 1979 (+6 anni, ma il 1973 segue un bisesto ed il 1979 lo precede), poi nel 1984 (+5, ma il 1984 è un bisesto) poi nel 1990 (+6, ma il 1990 è un pari medio tra bisesti ed il 1973 un dispari che segue un bisesto) ed infine nel 2001 (+11, e si chiude il ciclo dei 28 anni, entrambi dispari post bisesti).
3) 29 settembre 1974 è domenica e torna di domenica nel 1985 (+11 anni, ma un anno è pari – medio tra bisesti – e l’altro è dispari post bisesto), poi nel 1991 (+6, ma sempre anno dispari pre bisesto), poi nel 1996 (+5, ma il 1996 è bisesto ed il 1974 no) ed infine nel 2002 (+6, e si chiude il ciclo dei 28 anni, entrambi anni pari ed a metà tra due bisesti)
4) 29 settembre 1975 è lunedì e torna di lunedì nel 1980 (+5, ma il 1980 è bisesto), poi nel 1986 (+6, ma l’uno è dispari pre bisesto e l’altro è pari – medio tra bisesti), poi nel 1997 (+11, ma l’uno precede un bisesto e l’altro lo segue), ed infine nel 2003 (+6, e si chiude il ciclo dei 28 anni, entrambi dispari che precedono un bisesto).

L’ultima considerazione da fare riguarda ovviamente i giorni relativi ai mesi di gennaio e febbraio, che scontano il doppio slittamento, dovuto all’anno bisesto, nell’anno ad esso successivo, poiché il famoso giorno in più (il 366esimo ogni 4 anni) interviene non ad inizio anno (una sorta di 0 gennaio) ma a fine febbraio (il proverbiale 29). Per quanto detto e scritto sopra, ciò si traduce in una soluzione abbastanza intuitiva, e cioè che la ciclicità dei giorni dei primi due mesi dell’anno slitta di uno rispetto ai giorni degli altri 10 mesi successivi: per gennaio e febbraio, l’influenza del bisesto si avrà nell’anno post bisesto, quella dell’anno post bisesto si avrà nell’anno intermedio tra bisesti, e così via, secondo questo schema:
1) Giorno (di gennaio e febbraio) di anno bisesto torna dopo anni = 5 + 6 +11 + 6 (totale 28 cioè 7 x 4 e si riavvia il ciclo. In pratica si comporta come fa un pre-bisesto con gli altri mesi)
2) Giorno (di gennaio e febbraio) di anno post bisesto torna dopo = 6 + 11 + 6 + 5 (totale 28 e si riavvia il ciclo. In pratica si comporta come fa un bisesto con gli altri mesi)
3) Giorno (di gennaio e febbraio) di anno medio tra bisesti dopo = 6 + 5 + 6 + 11 (totale 28 e si riavvia il ciclo. In pratica si comporta come fa un post-bisesto con gli altri mesi)
4) Giorno (di gennaio e febbraio) di anno pre bisesto torna dopo = 11 + 6 + 5 + 6 (totale 28 e si riavvia il ciclo. In pratica si comporta come fa un medio tra bisesti con gli altri mesi)

A completamento di ciò, dopo aver visto la ciclicità dei giorni tra gli anni, resta un’ultima breve considerazione da fare, in appendice: la ciclicità dei giorni tra mesi di uno stesso anno. Questa è abbastanza intuitiva, perché è semplicemente legata allo slittamento dei giorni tra i mesi in virtù del fatto che nessun mese – ad eccezione di febbraio in un anno non bisesto – dura 4 settimane. Dal che, ne deriva che due mesi di uno stesso anno avranno gli stessi giorni quando gli slittamenti che si saranno prodotti tra la durata di un mese (rispetto a 28) e l’altro (sempre rispetto al 28) saranno uguali a multipli di 7, a chiusura del ciclo settimanale.
Pertanto, in un anno non bisestile:
Gennaio ha gli stessi giorni di Ottobre: 3 giorni di slittamento (31 giorni di gennaio meno 28) tra gennaio e febbraio, zero (28 giorni di febbraio meno 4 settimane = 28) tra febbraio e marzo, 3 tra marzo ed aprile (totale 6), 2 tra aprile e maggio (totale 8), 3 tra maggio e giugno (totale 11), 2 tra giugno e luglio (totale 13), 3 tra luglio ed agosto (totale 16), 3 tra agosto e settembre (totale 19), 2 tra settembre ed ottobre (totale 21 – MULTIPLO di 7).
il 01 gennaio 1973 è lunedì, e così il 01 ottobre dello stesso anno. Il 02 gennaio 1973 è martedì e così il 02 ottobre – e via dicendo.
Con questo stesso ragionamento:
Febbraio (per tutti i suoi 28) ha gli stessi giorni di Marzo (per i primi 28 rispetto a febbraio e fino a 30 rispetto a novembre), ed entrambi hanno gli stessi giorni di Novembre
Aprile (per tutti i suoi 30) ha gli stessi giorni di Luglio
Luglio (fino al 30) ha gli stessi giorni di Aprile (già visto)
Settembre (per tutti i suoi 30) ha gli stessi giorni di Dicembre
Ottobre ha gli stessi giorni di Gennaio (già visto)
Novembre (fino a 28 uguali ad entrambi e gli ultimi due uguali al 29 e 30 marzo) ha gli stessi giorni di Febbraio e Marzo (già visto)
Dicembre (fino al 30) ha gli stessi giorni di Settembre (già visto).

Infine, in un anno bisestile, poiché il giorno in più si intromette tra le accoppiate di Gennaio e di Febbraio con gli altri mesi loro partners, alterando la sommatoria degli scarti, ma lasciando inalterata quella tra i mesi successivi (al 29 febbraio), si creano nuove coppie:
Gennaio (per i primi 30) ha gli stessi giorni di Aprile (3 giorni di slittamento tra gennaio e febbraio, + 1 tra febbraio e marzo in virtù dei 29 giorni, + 3 tra marzo ed Aprile = 7!) e chiaramente di Luglio (per gli interi 31), slegandosi da Ottobre come accadeva in un anno non bisesto.
il 01 gennaio 1972 è sabato, così come il 01 aprile ed il 01 luglio dello stesso anno – e via dicendo
Febbraio (per tutti i suoi 29) ha gli stessi giorni di Agosto (1 giorno di slittamento con Marzo, + 3 tra Marzo ed Aprile (totale 4), + 2 tra Aprile e Maggio (totale 6), + 3 tra Maggio e Giugno (totale 9), + 2 tra Giugno e Luglio (totale 11), + 3 tra Luglio ed Agosto (totale 14 – MULTIPLO di 7), slegandosi da marzo e novembre, come accadeva in un anno non bisesto.
Le altre accoppiate mensili, non scontando l’influenza del 29 febbraio, resteranno inalterate (Marzo con Novembre, Aprile con Luglio, Settembre con Dicembre)
il 29 settembre 1972 è venerdì, così come il 29 dicembre 1972
il 29 settembre 1973 è sabato, così come il 29 dicembre 1973

Fine del trattato sulla ciclicità dei giorni della settimana in un anno e tra gli anni. (…)
E invece no!
A questo punto, poiché sono matto, ho voluto scoprire la ciclicità dei giorni settimanali (tra gli anni) ipotizzando che questi non fossero 7, ma magari 9 (aggiungendo una domenica 2 ed una domenica 3) oppure 8 (senza domenica tris) oppure 6 (senza domenica) oppure 5 (da lunedì a venerdì) oppure 4 (da giovedì a domenica) oppure 3 (da venerdì a domenica) oppure due (solamente sabato e domenica)
Ciò che ho scoperto riguardo la perfetta ciclicità dei giorni, quel numero 28 prodotto dai giorni della settimana per 4 (numero sempre fisso poiché riferito ai 4 anni di attesa del bisesto), che ovviamente vale anche nel caso di una settimana di 8 giorni (8 x 4 = 32, cioè ci vorranno 32 anni affinché due anni abbiano gli stessi giorni, la stessa lunghezza e lo stesso posizionamento rispetto ad un bisesto o essi stessi bisesti), ebbene quella ciclicità si riduce in un solo e solo caso: se il prodotto tra i giorni di cui è composta una settimana ed il numero 4 è un risultato divisibile per 3!
Sto cioè dicendo che se i giorni della settimana sono 9, il riavvio del ciclo non si avrà dopo 4 x 9 = 36 anni, ma già dopo 36/3 = 12 anni.
Lo stesso se i giorni della settimana sono 6: non 24 anni (6 x 4) ma solamente 24/3 = 8 anni.
Con una stramba particolarità: che questa ciclicità sarà a giorni settimanali esclusivi! Tradotto: certi giorni della settimana torneranno solamente in certi determinati anni uguali (per durata e posizionamento rispetto al bisesto o essi stessi bisesti), ed in altri mancheranno sempre, o per meglio dire: ogni singola data, per coppie di anni uguali, potrà avere solamente determinati giorni (nel caso ad esempio di 9 giorni settimanali, il 29 settembre di un anno bisesto potrà essere solamente venerdì, domenica 2 o martedì).
Questa ciclicità a giorni esclusivi la ritroviamo anche nel caso di 6 giorni a settimana, non così negli altri casi.
Detto questo, e sperando di essere stato chiaro quanto basta per favorire l’impazzimento altrui tam quam quel che mi colse lungo circa una settimana (va da sé), elucubrato tra la guida in macchina, il lavoro in ufficio e le notti insonni, passo alle tabelle

Con 9 giorni a settimana (dopo domenica, domenica2 e domenica3)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 40. Giorni di slittamento standard tra un anno e l’altro = 365-360 (4×90) = 5

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
lunedì 1973 (+5 di slittamento: sabato, domenica, domenica2, domenica3, lunedì – appunto)
sabato 1974 (+10)
martedì 1975 (+15)
domenica2 1976 (+21 = 15+6 di slittamento da bisesto)
giovedì 1977 (+ 26)
domenica3 1978 (+31)

venerdì 1979 (+36 di slittamento: multiplo di 9 quindi ritorno, dopo 7 anni, al venerdì – ma non di anno bisesto come il 1972)

martedì 1980 (+42)
domenica 1981 (+47)
mercoledì 1982 (+52)
domenica 2 1983 (+57)
venerdì 1984 (+63 di slittamento, 57+6 ((da bisesto)) quindi multiplo di 9. E inoltre, anno bisesto come il 1972: dopo 12 anni, 5 più 7 per i bisesti e pre bisesti, e 12 esatti per tutti gli altri, ricomincia il ciclo: a giorni esclusivi!) Infatti, poi:

lunedì 1985 (12 anni dopo il 1973)
sabato 1986 (12 anni dopo il 1974)
martedì 1987 (12 anni dopo il 1975, ma con altro martedì nel 1980 – quindi dopo 5 e 7 anni in quanto entrambi anni pre bisestili)
domenica 2 1988 (12 anni dopo il 1976, con in mezzo il 1983, quindi stessa situazione del venerdì; giorni in anni bisesti tornano dopo 5 e 7 anni)
giovedì 1989 (12 anni dopo il 1977)
domenica 3 1990 (12 anni dopo il 1978)
venerdì 1991 (12 anni dopo il 1979 e chiaramente 7 dopo il 1984. Quindi tornerà tra 5! )
martedì 1992 – ibidem
domenica 1993 – ibidem
mercoledì 1994 – ibidem
domenica 2 1995 – ibidem
venerdì 1996

E, dopo 12 anni dal 1984 e 24 dal 1972, altro ciclo identico:

lunedì 1997
sabato 1998
martedì 1999
domenica 2 2000
giovedì 2001
domenica 3 2002
venerdì 2003
martedì 2004
domenica 2005
mercoledì 2006
domenica 2 2007
venerdì 2008 – chiusura del ciclo dei 12 anni e del ciclo onnicomprensivo dei 36 anni (9 giorni settimanali per 4 da cadenza bisestile

Ricapitolando, circa la ciclicità dei giorni:
Giorno in anno bisesto (solo venerdì, martedì e domenica 2) si ripete dopo 7 + 5 = 12 anni
Giorno in anno dopo anno bisesto (solo lunedì, giovedì e domenica 1) si ripete dopo 12 anni secchi
Giorno in anno medio tra bisesti (solo mercoledì, sabato e domenica 3) si ripete dopo 12 anni secchi
Giorno di anno pre anno bisesto (solo venerdì, martedì e domenica 2) si ripete dopo 5 + 7 = 12 anni

 

Con 6 giorni a settimana (senza domenica)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 60. Giorni di slittamento standard = 365-360 = 5

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
giovedì 1973 (+5 di slittamento)
mercoledì 1974 (+10)
martedì 1975 (+15)
martedì 1976 (+21 = 15+6 di slittamento da bisesto)

lunedì 1977 (+ 26)
sabato 1978 (+31)
venerdì 1979 (+36 di slittamento: multiplo di 6 quindi ritorno al venerdì – ma non di anno bisesto come il 1972)

venerdì 1980 (+42, 36+6 ((da bisesto)) quindi multiplo di 6. E inoltre, anno bisesto come il 1972: dopo 8 anni comincia il ciclo e ricomincia il ciclo: a giorni esclusivi!) Infatti, poi:

giovedì 1981
mercoledì 1982
martedì 1983
martedì 1984
lunedì 1985
sabato 1986
venerdì 1987
venerdì 1988 (chiusura ciclo di 8 anni)

giovedì 1989
mercoledì 1990
martedì 1991
martedì 1991
lunedì 1993
sabato 1994
venerdì 1995
venerdì 1996 (chiusura ciclo di 8 anni e del ciclo onnicomprensivo dei 24 anni (6 giorni settimanali per 4 da cadenza bisestile)

Ricapitolando, circa la ciclicità dei giorni:
Giorno in anno bisesto (solo venerdì e martedì) si ripete dopo 7 + 1 = 8 anni
Giorno in anno dopo anno bisesto (solo lunedì, mercoledì, giovedì e sabato) si ripete dopo 8 anni secchi
Giorno in anno medio tra bisesti (solo lunedì, mercoledì, giovedì e sabato) si ripete secco dopo 8 anni
Giorno pre anno bisesto (solo venerdì e martedì) si ripete dopo 1 + 7 secchi

 

Con 8 giorni a settimana (dopo domenica, domenica2)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 45. Giorni di slittamento standard = 365-360 = 5

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
martedì 1973 (+5 di slittamento)
domenica 1974 (+10)
giovedì 1975 (+15)
martedì 1976 (+21. Tra il 1973 ed il 1976, 16 giorni di slittamento: multiplo di 8 e ritorno di giorno uguale, in questo caso martedì)

domenica 1977 (+ 26. Tra il 1974 ed il 1977, 16 giorni di slittamento: multiplo di 8 e ritorno di giorno uguale, in questo caso domenica)

giovedì 1978 (+31. Tra il 1975 ed il 1978, 16 giorni di slittamento: multiplo di 8 e ritorno di giorno uguale, in questo caso giovedì)

lunedì 1979
domenica 1980
giovedì 1981
lunedì 1982
sabato 1983
giovedì 1984
lunedì 1985
sabato 1986
mercoledì 1987
lunedì 1988
sabato 1989
mercoledì 1990
domenica2 1991
sabato 1992
mercoledì 1993
domenica2 1994
venerdì 1995
mercoledì 1996
domenica2 1997
venerdì 1998
martedì 1999
domenica2 2000
venerdì 2001
martedì 2002
domenica 2003

venerdì 2004 (dopo 32 anni dal 1972, ricomincia il ciclo intero senza giorni esclusivi)
martedì 2005
domenica 2006
giovedì 2007 – eccetera

Ricapitolando:

Giorno in anno bisesto si ripete dopo 23 + 3 +3 + 3 = 32 anni (8 gg. settimanale x 4 – cadenza bisesto = 32 e ciclo concluso)
Giorno dopo anno bisesto si ripete dopo 3 +23 + 3 + 3 = 32
Giorno in anno medio tra bisesti si ripete dopo 3 +3 + 23 + 3 = 32
Giorno pre anno bisesto si ripete dopo 3 +3 + 3 + 23 = 32

 

Con 5 giorni a settimana (da lunedì a venerdì)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 73. Giorni di slittamento standard = 365-365 = zero! Ciò significa che ogni anno ha gli stessi giorni della settimana, è un anno a ciclo completo, e solo il bisestile altera i giochi. Vediamo come

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
venerdì 1973
venerdì 1975
lunedì 1976
lunedì dal 1977 al 1979
martedì da 1980 al 1983
mercoledì dal 1984 al 1987
giovedì dal 1988 al 1991
venerdì 1992
da venerdì 1992 riparte il ciclo di 20 anni (5 giorni per 4, un bisesto ogni 4 = 20)
Molto banalmente, il giorno in bisesto si ripete 3 volte di fila e poi torna dopo 17 anni
Il giorno post bisesto (che sarebbe uguale a quello bisesto) torna ancora per due anni di fila e poi dopo 18 anni (cioè 17 perché è uguale al precedente)
Inutile continuare!

 

Con 4 giorni a settimana (da giovedì a domenica)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 91. Giorni di slittamento standard = 365-364 = uno

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
sabato 1973
domenica 1974
giovedì 1975
sabato 1976
domenica 1977
giovedì 1978
venerdì 1979
domenica 1980
giovedì 1981
venerdì 1982
sabato 1983
giovedì 1984
venerdì 1985
sabato 1986
domenica 1987
venerdì 1988 (chiusura ciclo)
sabato 1989
domenica 1990
giovedì 1991

Giorno in anno bisesto si ripete dopo 7+3+3+3 = 16 (ciclo chiuso come da 4 x 4)
Giorno dopo anno bisesto si ripete dopo 3+7+3+3 = 16
Giorno in anno medio tra bisesti si ripete dopo 3+3+7+3 = 16
Giorno pre anno bisesto si ripete dopo 3+3+3+7 = 16

 

Con 3 giorni a settimana (da venerdì a domenica)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 131. Giorni di slittamento standard = 365-363 = due

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
domenica 1973
sabato 1974
venerdì 1975

venerdì 1976

Il giorno dell’anno in bisesto torna dopo 1 e 3 anni, e quelli degli altri anni tornano ogni 4 anni, il ciclo è infatti di 4 anni in virtù dei 3 (giorni settimanali) moltiplicati per 4 (bisesto) pari a 12 divisibile per 3 (come i cicli a 9 e 6 giorni) = 4

 

Con 2 giorni a settimana (venerdì a sabato)
Settimane in un anno (per forza fisso a 365 gg. per 3 tornate consecutive e poi 366 gg. a bisesto ogni 4) = 182. Giorni di slittamento standard = 365-364 = uno

Parto da venerdì in bisesto (esempio fissato: 29 settembre 1972):

venerdì 1972
sabato 1973
venerdì 1974
sabato 1975
sabato 1976
venerdì 1977
sabato 1978
venerdì 1979

venerdì 1980
sabato 1981
venerdì 1982
sabato 1983
sabato 1984
venerdì 1985
sabato 1986
venerdì 1987

Chiaro ciclo di 8 anni (2 giorni per 4 anni a bisestile)

Giorno di anno bisesto torna dopo = 2+3+2+1 = 8 (ciclo chiuso)
Giorno di anno post bisesto torna dopo = 2+1+2+3
Giorno medio tra bisesti torna dopo = 3+2+1+2
Giorno pre bisesto torna dopo = 1+2+3+2

Fine.

(chi ha seguito fin qui il trattato capendoci qualcosa ha vinto un T.S.O.)

A stretto giro di posta, dopo nemmanco 12 ore dalla pubblicazione degli ultimi 2 post matematici e filosoficofolli, vagando per la stazione entrando nel postaccio dei libri mi imbatto come catturato da una sorta di ipnosi lucida in un testo che la mia mano ha raccolto prima ancora che il cerebro mi si collegasse.

Dio la matematica e la follia.

Se non son segni questi.

 

Tutte le argomentazioni filosofiche e scientifiche sull’eterna reiterazione delle esistenze si basano su concetti come l’infinito ed il rapporto tra questo e l’infinita serie di numeri che lo precedono, che pure e però sono concetti matematici e come tali inventati dall’uomo e come tali validi tautologicamente incredibilmente assurdamente logicamente intuitivamente pleonasticamente apoditticamente definitivamente (ometto la virgola per segnarne la vertigine abissale) in misura pari a zero. Quindi: qui si va oltre il concetto ed il pensiero e le asserzioni che dopo l’esistenza terrena vivremo altre infinite esistenze secondo l’idea della novitazione e/o del suo oltre. La verità unica è che dopo la morte tutto è possibile – come niente: è solo un salto nel buio – SEMPLICEMENTE. E con ciò pongo la parola fine ad ogni dissertazione in merito (fino alla prossima – spero di no o non so – illuminazione onirica)

Opposti numerici ed anno di nascita:

Nel 01 ha 10 anni: nato nel 91
Nel 02 ha 20 anni: nato nell’82 (91-9)
Nel 03 ha 30 anni: nato nel ’73 (82-9)

e poi nel ’64 (40 nel 04), nel ’55, e via dicendo: tutti meno 9

Nel 10 ha 01 anni, nato nel ’09
Nell’11 ne ha 11, nato nell’anno 0 ( 9-9)
Nel ’12 ne ha 21, nato nel ’91 (00-9)
Nel ’13 ne ha 31, nato nell’82 (91-9)

e così via.

Nel ’91 ne ha 19, nato nel ’72 (come me. così lo scopersi, ancora una volta in sogno)
Nel ’92 ne ha 29, nato nel ’63 (72-9)

E così via, a botta di meno 9: ’54, ’45, ’36, ’27:

Nel ’97 ne ha 79, nato nel ’18
Nel ’98 ne ha 89, nato nel ’09
Nel ’99 ne ha 99, nato nell’anno 0

La regola degli opposti numerici si fonda sul 9

Oggi compio 50 anni e questo post è completamente plagiato ordunque ispirato da quello scritto esattamente 10 anni fa a quest’ora (più o meno: ma cosa è un più o meno in faccia a un mezzo secolo? A pensarci trasecolo). Ancora infatti pur oramai disancorato avviato in alto ed altro mare, nel mio rinnovato ribadito sbiadito modo di non credere a nulla, credo ci siano cose simboliche, date sicuramente (e/o restituite: male, più che mai).
Oggi 29 settembre è di fatto necessario considerarla una di quelle, perché transeat per i giochi di parole 40 = forty = forti (sensazioni), o i quadratini deliranti di un anno fa (che però ho opportunamente aggiornato), la ricerca degli scontrini dei non dico 49 precedenti ma quasi, ma qua spacchiamo fifty fifty il secolo breve, precisi e secchi come solo l’orrore di guardare in faccia l’errore (e viceversa) prima di ridere di sgusto potrebbe fare. Non so se il tempo mi darà tempo di cambiare idea, e francamente non mi interessa quasi più,
all’età
(di cui ognuno è figlio. e al tempo stesso padre e madre. e anche sorella e fratello. e così, come in una messa, messi tutti).

E sia.

Ciò su cui non cambio idea – è matematico e pertanto lo ricopio identico –
è la convinzione che tutto questo non valga la pena,
né per me né per nessun altro.
In questa mia certezza mi ritrovo solo (non più tanto, invero. e non so se sia un bene o un male. intendo per colui il quale), benché la convinzione sia di caratura ontologica (non strettamente personale, anche perché, specie negli ultimi anni, di strada se n’è fatta assai)

Pure, essendoci mio malgrado (forse…!) e – lo ripeto: se potessi scegliere, anzi – paradosso – : se avessi potuto scegliere, avrei scelto di non nascere –
gioco il gioco che il simbolo richiede
ed elenco quelle che sono (qui il plagio si incrina un po’)
le cose (generico: 10 non ce le trovo) per le
quali varrebbe la pena vivere
se veramente valesse la pena vivere.

Metto ciò che resta:

la musica sì (la canzone è DATA)

il pollo sì (la foto è DARIA)

il bere (che stava inopinatamente nel commento e non nel post orginale) sì (la foto è TRINITATA)

il tramonto – ma giusto per come lo descrissi (e infatti non metto la foto, lascio l’immaginario)

e Praga in senso scaramantico sperando di rivederla, anche se i miei schemi numerici sono saltati per aria, gli incastri i desideri e le magie: tutto polverizzato.

il restante è di contorno (fatti salvi i miei capisaldi letterari che non elencherò, perché li so).

Lo scandalo è la sparizione del Napoli. Quando scrissi quel post, se fossero venuti da me queruli e questuanti tutti i me di un futuro cominciato da qualche anno (due o tre) a scandalizzarsi che 10 anni dopo non ci sarebbe stato, li avrei rispediti al mittente, argomentandone con un cenno della mano inequivocabile l’impossibilità. Inequivocabile tanto il cenno quanto l’impossibilità. Che poi come si vede non esiste, al limite l’improbabilità. Che poi come si vede non era potenzialmente tale, nella tremenda fattispecie.

Le altre rimasuglie sono spunti. Le aggiunte o le varianti, transeunti. Ma attenzione: io non dimentico. Ho così cari i miei sterminati ricordi che nessuno è riuscito a sterminarmeli, di persone, amori, momenti, situazioni, illusioni, circostanze fantastiche e straordinarie. Ma qui si sta filosofeggiando su un apriori e, ad esso connesso, su una ipotetica. Quindi non sporco nemmeno di striscio le mie memorie, che pure non torneranno più.  
E ci credo
.

Abbrevio così: sto viaggiando al tramonto (verso la costiera? verso casa?), mi attende un negroni, un pollo ed una birra, e sto ascoltando la radio (anagramma di dario) in macchina.

Le sensazioni forti, quelle intense e brevissime, di cui lì scrivevo, e che oggi vivo a tratti assai tenui, hanno sostituito le emozioni di un tempo. Ammesso che non fossero lo stesso fenomeno, racchiuse complete in uno stesso complesso e compresso noumeno.

Mi piace ancora scrivere, ma non so se mi ritroverai ancora qui tra 10 anni.
Ascolta però: sai come pronuncia un mezzo bleso al secolo (mezzo) zeppolaro le parole seguenti?

RE-fifti ed IN-fifti.
IN-fifty e RE-fifti.

REfifti ed INfifti.
L’autoaugurale mia genialità sta tutta qua.

Buon mezzosecolo mezzasega VecchioleviadORO!

L’esistenza mi ripugna e repelle (anche la ripetitività, in verità), e non l’avrei mai scelta. Ma, in fin dei conti, non mi dispiace troppo essere me stesso. Certo, è pur vero che se fossi un altro, probabilmente, non proverei questa stessa ripugnanza e forse il tutto mi apparirebbe più accettabile. Eppure, non posso rimproverarmi nulla, non ho scelto io di essere me stesso. Ed anzi, quand’anche all’inizio dei (miei) tempi mi avessero dato l’opportunità di scegliere tra una delle infinite esistenze da ed in cui vivere, essendo che nessuno sceglie per sé il male, il fatto di scegliere di essere me e non un chiunque altro è stato (fu, sarebbe) plausibilmente il frutto di questi ragionamenti: che essere qualunque altra esistenza mi sarebbe stato addirittura più spiacevole e doloroso. In sostanza, che lo abbia scelto o meno, di essere proprio me e non altro nessuno, è una cosa di cui non posso rimproverarmi. Potrei solo rimproverarmi se, in una sorta di coscienza non vivente, e potendo valutare con cognizione di causa SE vivere (ed in quali panni, che poi avrei scelto essere i miei) o non vivere, io abbia potuto optare per la prima eventualità. Se però anche questo fosse vero, dovrei ancora aspettarmi magnificenze e mirabolanti colpi di coda dalla mia esistenza (a ribaltare le convinzioni più truculente ed irremovibili/irrefutabili cui sono giunto dopo mezzo secolo di vita) che al momento, pur con la più fervida delle mie possibili immaginazioni, non riesco proprio a decriptare. Ma almeno ciò mi riconcilia con me stesso fino all’ultimo punto utile per decidere se mandarmi o no a fare in culo. Peccato che, un punto dopo quello, non avrò più possibilità di discernere. E qualcosa mi dice che sia meglio così.

(accade anche che nell’anno di (s) grazia 2022 ci si ritrovi con un amico fraterno a chiacchierare di Nietzsche, sovvenendomi annebbiato un mio scritto tragigoliardico di quasi un quarto di secolo fa in cui affrontavo il tema dell’eterno ritorno. E, solo nel successivo casalingo solitario momento di rilettura di quella riflessione, mi rendo conto di quanto fui preveggente rispetto alle stesse sorti dei miei attuali percorsi ed approdi  filosofici, sebbene lungo abissi di pensieri totalmente opposti e paralleli. Ma questo è un altro discorso, pur compreso dello e nello stesso infinito sferico interrogarsi. Ora però, spazio al mio scritto epocale targato 1999, che pubblico dedicandolo al suddetto fratello di strada).

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Lo hanno tacciato di essere stato l’ispiratore ideologico del nazismo, di essere una checca impotente e di aver fatto la fine di quelli che nei manicomi si credono Napoleone, abbracciando e baciando un cavallo a Torino. Si è ritrovato tra le palle una sorella peggiore della mia, e – tanto per gradire – nessuno ha capito quello che veramente voleva dire, prima che molta acqua fosse passata sotto i ponti della Storia. E, nonostante questo, ha provato a teorizzare una cosa che se fosse vera agiterebbe molti inquieti pensieri in tutte le persone che hanno una minima cognizione della propria esistenza (del tipo “si vive una volta sola, e qualcuno neanche quella”…E non è mia). Non ce ne sono molti, però almeno a spiegarla ci si può tentare. Frederico in parole povere fece presente che sarebbe stata comunque una mezza cazzata rinunciare alla propria presenza terrena per aspirare ad un premietto da nulla in un momento successivo, tanto più che di questa gentile e suggestiva promessa nessuno aveva prove concrete, vale a dire mai qualcuno che avesse dimostrato la convenienza della cosa o, al più, l’attendibilità del vecchio generoso di lassù. Niente di tutto ciò. Al limite, solo scenari agghiaccianti a rinforzare la dolorosa devozione umana, tipo castighi infernali e punizioni non emendabili. Troppi interessi di bottega quaggiù nell’Occidente, preso in ostaggio da una cultura millenaria immortale (e se fosse questa la manifestazione terrena e materiale dell’ontologicamente eterno, incazzoso e severissimo censore degli universi?), che fa tutt’uno col potere e la conservazione dello status quo. Ma non è questo che ci interessa. Nice si destò dunque dal torpore facendo notare che forse, potrebbe essere che, ma se Dio fosse un poco morto? E se forse convenisse vivere comunque questa vita invece che inseguire un’ipotetica chimera? Già, però non bastava. Adesso che il viaggio si riduce a pochi anni di fronte all’eternità del nulla, manco più l’adagio dei cento giorni da pecora e del giorno da leone (colla variante dei 50 da orsacchiotto introdotta da Troisi) può rendere con approssimazione sufficientemente valida l’angoscia insostenibile, nonché logica, dell’amara realtà delle cose. Se lo devi fare fallo bene, ogni momento ricordati da dove vieni, dove vai a parare e fatti due calcoletti sulla tua volontà. Più che un uomo, se quest’uomo ha fatto da sempre di Dio il suo riferimento in terra: via Dio, via tutto, resta quell’uomo solo e con se stesso come riferimento. Una sorta di superuomo. Troppo complicato? O forse troppo preveggente, e sotto con le randellate morali e materiali. Fred si dannava (in terra), che proprio non ci riusciva a fare uscire gli esseri umani da quell’odioso e metafisico involucro invisibile di secoli e secoli stratificati. Allora, un bel giorno (giornata da leoni) ebbe una intuizione geniale, e decise di comunicarla al mondo in grande stile, con un messaggio altisonante: gli diede il titolo di “Eterno Ritorno”. Pensò che doveva suonare veramente bene – eterno ritorno (magari un po’ simile a quell’eterno riposo che è una delle preghiere più terrorizzanti di tutta la casistica), perché ne fece un vanto del suo ingegno: e così la illustrò.

“Cari ragazzi, ma anche vecchi (anche se voi, a pensarci con una certa cattiveria, non siete più molto in tempo, ah, ah, ah), donne, bambini, insomma un po’ tutti voi, ascoltate bene questa storia che ho da dirvi: voi vivrete in eterno. Non siete contenti, dico vivere per sempre, non è fantastico? Non è quello che avete sempre sognato nelle vostre preghiere? Suvvia, ammettiamolo, in fondo è stata anche una furbata sottile, dico l’idea di promettervi una cosa del genere dopo la vita terrena. Ma perché aspettare fino al giorno della morte? Non avrebbe nemmeno tanto senso, visto che qualcosa bisogna pur fare nel frattempo. In verità, io vi dico che fino ad oggi siete stati presi in giro, e con voi tutti coloro che vennero prima, e che non hanno mai avuto la possibilità di riscattarsi, di sapere veramente le cose come stanno, di impossessarsi da ora e per sempre della propria vita, unica ed infinita. Adesso io non vorrei stare qui a tirarla troppo per le lunghe, a considerare i sottili legami fra l’idea di Dio e la traslazione di questo concetto a ciascuna delle singole coscienze personali, ma è necessario solo un piccolo sforzo di attenzione e tutto vi sarà più chiaro, ed in fondo anche più giusto. Vi siete mai chiesti perché ognuno vive proprio la vita che vive, in questo istante, in questo spazio, in questo corpo, e non in un altro dei tanti che vennero, che passano e che poi nasceranno domani? Io credo che ognuno di voi si sia posto questo quesito, prima o poi. E so anche che di risposte ai suoi dilemmi, beh, quelle proprio non ne ha trovate. Ma anche se oggi è il primo giorno che affrontate questa sconvolgente riflessione, sappiate che non è grave, e che nulla è compromesso: la verità è disposta ad abbracciare chiunque, perché ogni essere umano ha diritto di conoscere la verità, e di venire a patti con essa”.

“E la verità è questa.

Avete presente quelle fantastiche rappresentazioni teatrali che si vedono in giro, che sublimano il bisogno della conoscenza con i piaceri dei sentimenti artistici? Ebbene, vi siete mai chiesti il motivo per cui ad ogni personaggio che calca la scena corrisponda un artista ben preciso, che ripete giorno per giorno la sua parte, la sua recita, la sua migliore messa in mostra di qualcosa che è fuori e dentro se stesso?”

“Semplicemente perché ogni attore è padrone di un suo ruolo, un ruolo calibrato che solo un singolo talento può ricoprire nel migliore dei modi. E ripetere per sempre, fino alla perfezione, fino alla precisa identificazione tra l’uomo e l’artista, il sogno e la realtà, il creatore e la creatura”.

“Capito cosa succede a tutti noi, dal momento in cui nasciamo fino al funesto giorno in cui lasciamo la scena? Noi siamo gli attori sopra il palco della vita, ed ognuno è chiamato a recitare il suo stesso ruolo. Per tutti i secoli dei secoli, perché la manifestazione del nostro magico esibire non potrà mai cessare. In altre parole, io vi sto dicendo che tutti noi saremo su quel palco per sempre, perché quel palco è la vita in tutto il suo mistero, che mai ebbe inizio e mai avrà fine. Ciascuno ha la sua parte, nella parte di se stesso, tanto per essere rassicurati sulla singola individuale volontà di dare comunque il meglio. Non bisogna pensare che stiamo al mondo per portare in giro un copione scritto da altri, da un autore sfuggente, severo, invisibile e di cui si mette in dubbio la stessa esistenza. Non bisogna pensare che si giochi per lui, per gli omaggi dietro le quinte, le ricompense, la fama, i posti di onore. Ogni uomo mette in scena se stesso, è autore, impresario, regista ed attore dei propri pensieri e del proprio incessante agire. Questa è la verità”.

“Quindi, che da oggi nessuno si nasconda dietro i paraventi di mille negazioni, messo in guardia nel suo stesso vivere: tutto ciò che avrete modo di fare, di pensare, di sognare, di soffrire, di creare, e di tutte le altre cose che ci riempiono i giorni ed i battiti del cuore, ebbene tutto questo lo ripeterete per sempre, perché sarà la parte che avrete scelto per voi. Che ognuno di noi avrà scelto per se stesso, fino alla fine dei tempi”.

“Ecco il senso dell’Eterno Ritorno. Un ritorno infinito, incessante ed identico alle sue tracce che si perdono lungo la coda dell’atemporalità, ritorno sui propri passi, sulle proprie spoglie immortali. Ogni persona rivivrà la sua vita perennemente, sempre identica a se stessa, anche nei più impercettibili movimenti e sospiri dello spirito, così come un nastro riavvolto e riavviato emetterà la stessa musica, precisa ed uguale a se stessa in ogni sua pausa ed in ogni sua aria. Per tutti voi ci sarà un giorno come questo, un discorso come questo da capire o rifiutare, per sognare o per vivere, così come per me arriverà puntuale il momento in cui presterò il fianco all’eternità comunicando a voi tutti la sua unica, incancellabile Verità”.

“La stessa Vita, le stesse frasi e le stesse cose dette e fatte allo stesso modo in quello stesso istante: in fondo è solo un surreale o volgare stratagemma del Destino, un compromesso tra la precarietà dell’esistenza, il sogno di sconfiggere la morte e la responsabilizzazione di noi tutti, nella nostra coscienza individuale. Avere in dono non la Vita eterna, ma Una vita eterna ed eternamente uguale a se stessa, quella che ciascuno sceglie per sé, in tutta la sua libera determinazione e necessaria consapevolezza. Se il libero arbitrio si combina con l’assillo morale di ogni attimo che si succede, nessuno può dirsi giocato da uno scherzo imprevedibile del Fato, perché ogni decisione, che si carica di un significato infinito, ricadrà solamente sulle nostre spalle, con tutto il peso della sua incombente ineluttabilità umana. Adesso la scelta sta ad ognuno di voi, esseri mortali di questa vostra vita, che si eternerà nel gesto consapevole di una reiterazione fuori da ogni schema temporale. Che tipo di sogno reale volete regalare al vostro Eterno Ritorno? Ha ancora senso il compromesso, qualunque esso sia, dinanzi ad una riflessione dolorosa che si moltiplicherà all’infinito? Hanno ancora un motivo queste mie parole se le vostre facce resteranno inanimate lungo i corridoi dell’eterna chiamata all’appello?”

“Adesso uscite e cominciate a vivere, sapendo che ogni vostra manifestazione, ogni prova della vostra autocoscienza vi perseguiterà sin dentro la notte dei tempi, e convenite sul senso stesso delle vostre dannazioni: quale tipo di vita preferite vivere e rivivere e rivivere ancora? Non sono obbligato a proseguire oltre, perché la risposta si trova dentro ognuno di voi.

Qualunque essa sia, siate certi del fatto che diventerà un’ipoteca perenne sulla felicità che ognuno di noi ritiene di dover meritare.

Un’eterna risposta per un eterno ritorno. Sta a voi tutti”.

Questo, più o meno, è stato il discorso complessivo e generale che Nietzsche ha voluto fare per motivare e rafforzare l’idea di una completa ed assoluta presa di coscienza dell’esistenza da parte di ogni essere razionale. Non spetta ad alcuno analizzare i sensi profondi e la portata di un pensiero simile. Non è nemmeno lo scopo preciso di questa riflessione, ad essere sinceri. Lo spunto prende le mosse da quella parola che tanto affascina e tanto suggestiona gli esseri umani: eterno, eternità. Ovvero infinito. Insieme ai filosofi, agli scienziati, ai poeti, c’è un’altra categoria di menti elette che si occupa (verrebbe da dire che se ne occupa…da sempre) di un concetto così dirompente e materialmente impensabile (incategorizzabile) come quello dell’infinito. Si tratta dei matematici. Il pensiero matematico non esclude mai nulla a priori, ragiona spesso per assurdo e linearizza in forme pure l’astrazione potenziale dell’intelletto umano, sintetizzando per rappresentazioni numeriche armonie indecifrabili di codici universali ed esistenziali.

Il pensiero matematico ci dimostra che due rette parallele si incontrano all’infinito, sfruttando la profondità metafisica di quell’inimmaginabile appuntamento a cui mai nessuno potrebbe assistere, dal basso della sua angolatura a tre dimensioni finite (e conseguentemente FINTE).

Il pensiero matematico ci ricorda che tutto è divisibile per tutto, e che non esiste limite ad una formula indeterminata come la frazione per zero, oppure per ∞. Se questo è vero, qual’è il legame fra la matematica ed il pensiero di Nice, segnatamente la sua teoria dell’Eterno Ritorno? Sarà ormai chiaro che l’arcano risiede giusto nel senso di quel concetto sfuggente, l’infinito.

Infinite, e sempre uguali saranno le vite che vivremo nell’eterno ritorno pensato e postulato dal filosofo tedesco. Se questo è vero, e se decido di crederci, avrò nelle mie mani il mio destino perenne, e sarò per sempre responsabilizzato, per tutti gli attimi che vivrò ininterrottamente. Se dunque, in questo preciso momento, io decido di alzare il telefono e provare a parlare finalmente con quella persona che tanto mi sta a cuore, così tanto che mai ebbi il coraggio di decidermi in proposito, vorrà dire che lo farò per sempre, che per sempre alzerò la cornetta e formerò le cifre del suo numero, che le parlerò per sempre, comunque vada, anziché restare per sempre a guardare quel maledetto oggetto e non agire mai, o al più farlo successivamente, ma alimentando per sempre questa attesa angosciosa per i giorni che verranno. E tutto ciò, come al solito lo ripeterò ad infinitum.

Potrebbe sembrare un ragionamento perfetto per spingermi a fare in ogni momento quello che davvero desidero, e nello stesso momento in cui lo voglio, proprio perché, come si legge nell’Amleto “quel che noi vogliamo, lo dovremmo far sempre nel momento della volontà; perocché tale volontà in breve cambia e va soggetta a tanti ostacoli e differimenti quante sono le lingue, le mani e i casi che si frappongono, onde allora il nostro concetto si risolve in un doloroso e profondo sospiro che esala e prodiga invano il soffio della vita”. Proprio ciò che auspicava Frederico per coloro cui si rivolgeva nell’esposizione del suo pensiero. Con una più alta, intrinseca significazione di quella volontà che si rafforza nel suo ripetersi eternamente.

Ma ora, con calma e ponderatezza, si ragioni attentamente su ciò che si è detto: ogni mia scelta si ripete identica in tutte le mie identiche vite che vivrò. Se adesso urlo a squarciagola senza un preciso motivo, la eco di quell’urlo si trascinerà lungo i secoli ed i millenni di ogni mio ritorno, per ripresentarsi sempre allo stesso modo e nello stesso momento. Eppure, un dubbio si annida nel mio ragionamento, un dito di polvere decisivo negli ingranaggi della logica esposta.

Chi mi assicura che la stessa vita di cui sono cosciente in questo momento, non sia essa stessa una copia identica di altre vite uguali già vissute in precedenza? In altre parole: quale è la probabilità che questa sia la prima volta che io vivo questa mia vita e che dunque, effettivamente, sia in grado di indirizzarne il corso secondo la mia volontà attuale ed immanente?

Una sola, una sola possibilità, contro le infinite altre mie uguali vite già vissute, agita lo scenario di una mia attuale, e potenziale capacità di decidere realmente, liberamente, da principio, il mio eterno avvenire, ed il mio eterno ritorno.

C’è una sola possibilità, dunque, rapportata all’infinito. In matematica, questo valore probabilistico di 1 su ∞ equivale ad un numero di confine misterico, spiazzante, atroce, un baratro tra bene e male, nero e bianco, nulla e vuoto assoluto: lo zero.

In sintesi, esiste una probabilità pari a zero che, nell’infinito ciclo delle mie rappresentazioni terrestri, sempre identiche a se stesse, sia questa la prima delle infinite mie vite uguali. Probabilità uguale zero. E’ stato già tutto deciso: da me, nella vera e reale prima apparizione che feci, chissà quando, dove e come. Tutti questi miei ragionamenti sono il riflesso di uno specchio infinitamente distante e perenne, che si trascina dentro di me dalla notte dei tempi. La mia autonomia, la mia libertà, la mia coscienza riflettente e generatrice pende al gancio del dejà-vu, e del dejà-vécu. Del già deciso: da me, ma già fatto, e altrove. Posso sentirmi libero di innalzare la mia unicità perenne, ma sarò sempre schiavo di un’ombra che proietta il mio smarrimento nei lidi più profondi del mio essere: schiavo di me stesso. Così, non c’è liberazione, non c’è assolutezza di pensiero, di azioni e di gesti umani, quotidiani e millenari. Così, mi resta solo un paradossale e cupo smarrimento, un eterno rimpianto di una purezza e di una innocenza primigenia, sporcata e sedotta da un passato che torna, sempre identico al mio presente, assente nella sua cosciente libertà.

Sono in trappola, carnefice di me stesso, inchiodato da un assunto matematico e da una legge universale ed immutabile.

L’eterno ritorno ha sconquassato la mia logica, i miei slanci irrazionali, le mie passioni, i miei sentimenti, le mie pulsioni primordiali, le mie aspirazioni celesti e superomistiche.

Dentro un reticolo di forme geometriche ed esistenziali, lungo i tracciati del simbolo e della parola, incuneato nei codici matematici delle divinità di ogni tempo, il mio sguardo sul mondo si perde di sconcerto e fatica, e da questo istante nulla sarà più come prima, pur restando una copia del mio eterno passato.

Come due specchi opposti e riflettenti, i cerchi concentrici della mia coscienza mi schiacciano lungo i crinali di una responsabilità senza più coordinate e significato, e tutto il vuoto che mi circonda si catapulta al centro del mio spirito.

Le mille simulazioni ed il flusso di immagini e sospiri che devastano i miei spazi esistenziali, urlano la loro condanna.

Mai più potrò essere libero, perchè sono stato sottomesso dal più insidioso, nascosto e subdolo dei miei peggior nemici: me stesso.

Sono qui che osservo da dentro il mio io, e non mi ricordo più, non riconosco più il principio delle scelte. E questo momento perenne di perdizione si reitererà senza fine, per mia somma ed esclusiva colpa.

Sto male, mi sembra di impazzire, mi si gela il sangue nelle vene, e paralizza le mie membra e la mia lingua. Non ho più voglia di pensare, di accogliere con devota dignità il monito severo del mio istinto di sopravvivenza, permeato e fortificato dalla cultura umana millenaria… Sto male…..

Forse Nice così impazzì .

 

Vecchioleviatano 1999

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