Archive for Luglio, 2022


(accade anche che nell’anno di (s) grazia 2022 ci si ritrovi con un amico fraterno a chiacchierare di Nietzsche, sovvenendomi annebbiato un mio scritto tragigoliardico di quasi un quarto di secolo fa in cui affrontavo il tema dell’eterno ritorno. E, solo nel successivo casalingo solitario momento di rilettura di quella riflessione, mi rendo conto di quanto fui preveggente rispetto alle stesse sorti dei miei attuali percorsi ed approdi  filosofici, sebbene lungo abissi di pensieri totalmente opposti e paralleli. Ma questo è un altro discorso, pur compreso dello e nello stesso infinito sferico interrogarsi. Ora però, spazio al mio scritto epocale targato 1999, che pubblico dedicandolo al suddetto fratello di strada).

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Lo hanno tacciato di essere stato l’ispiratore ideologico del nazismo, di essere una checca impotente e di aver fatto la fine di quelli che nei manicomi si credono Napoleone, abbracciando e baciando un cavallo a Torino. Si è ritrovato tra le palle una sorella peggiore della mia, e – tanto per gradire – nessuno ha capito quello che veramente voleva dire, prima che molta acqua fosse passata sotto i ponti della Storia. E, nonostante questo, ha provato a teorizzare una cosa che se fosse vera agiterebbe molti inquieti pensieri in tutte le persone che hanno una minima cognizione della propria esistenza (del tipo “si vive una volta sola, e qualcuno neanche quella”…E non è mia). Non ce ne sono molti, però almeno a spiegarla ci si può tentare. Frederico in parole povere fece presente che sarebbe stata comunque una mezza cazzata rinunciare alla propria presenza terrena per aspirare ad un premietto da nulla in un momento successivo, tanto più che di questa gentile e suggestiva promessa nessuno aveva prove concrete, vale a dire mai qualcuno che avesse dimostrato la convenienza della cosa o, al più, l’attendibilità del vecchio generoso di lassù. Niente di tutto ciò. Al limite, solo scenari agghiaccianti a rinforzare la dolorosa devozione umana, tipo castighi infernali e punizioni non emendabili. Troppi interessi di bottega quaggiù nell’Occidente, preso in ostaggio da una cultura millenaria immortale (e se fosse questa la manifestazione terrena e materiale dell’ontologicamente eterno, incazzoso e severissimo censore degli universi?), che fa tutt’uno col potere e la conservazione dello status quo. Ma non è questo che ci interessa. Nice si destò dunque dal torpore facendo notare che forse, potrebbe essere che, ma se Dio fosse un poco morto? E se forse convenisse vivere comunque questa vita invece che inseguire un’ipotetica chimera? Già, però non bastava. Adesso che il viaggio si riduce a pochi anni di fronte all’eternità del nulla, manco più l’adagio dei cento giorni da pecora e del giorno da leone (colla variante dei 50 da orsacchiotto introdotta da Troisi) può rendere con approssimazione sufficientemente valida l’angoscia insostenibile, nonché logica, dell’amara realtà delle cose. Se lo devi fare fallo bene, ogni momento ricordati da dove vieni, dove vai a parare e fatti due calcoletti sulla tua volontà. Più che un uomo, se quest’uomo ha fatto da sempre di Dio il suo riferimento in terra: via Dio, via tutto, resta quell’uomo solo e con se stesso come riferimento. Una sorta di superuomo. Troppo complicato? O forse troppo preveggente, e sotto con le randellate morali e materiali. Fred si dannava (in terra), che proprio non ci riusciva a fare uscire gli esseri umani da quell’odioso e metafisico involucro invisibile di secoli e secoli stratificati. Allora, un bel giorno (giornata da leoni) ebbe una intuizione geniale, e decise di comunicarla al mondo in grande stile, con un messaggio altisonante: gli diede il titolo di “Eterno Ritorno”. Pensò che doveva suonare veramente bene – eterno ritorno (magari un po’ simile a quell’eterno riposo che è una delle preghiere più terrorizzanti di tutta la casistica), perché ne fece un vanto del suo ingegno: e così la illustrò.

“Cari ragazzi, ma anche vecchi (anche se voi, a pensarci con una certa cattiveria, non siete più molto in tempo, ah, ah, ah), donne, bambini, insomma un po’ tutti voi, ascoltate bene questa storia che ho da dirvi: voi vivrete in eterno. Non siete contenti, dico vivere per sempre, non è fantastico? Non è quello che avete sempre sognato nelle vostre preghiere? Suvvia, ammettiamolo, in fondo è stata anche una furbata sottile, dico l’idea di promettervi una cosa del genere dopo la vita terrena. Ma perché aspettare fino al giorno della morte? Non avrebbe nemmeno tanto senso, visto che qualcosa bisogna pur fare nel frattempo. In verità, io vi dico che fino ad oggi siete stati presi in giro, e con voi tutti coloro che vennero prima, e che non hanno mai avuto la possibilità di riscattarsi, di sapere veramente le cose come stanno, di impossessarsi da ora e per sempre della propria vita, unica ed infinita. Adesso io non vorrei stare qui a tirarla troppo per le lunghe, a considerare i sottili legami fra l’idea di Dio e la traslazione di questo concetto a ciascuna delle singole coscienze personali, ma è necessario solo un piccolo sforzo di attenzione e tutto vi sarà più chiaro, ed in fondo anche più giusto. Vi siete mai chiesti perché ognuno vive proprio la vita che vive, in questo istante, in questo spazio, in questo corpo, e non in un altro dei tanti che vennero, che passano e che poi nasceranno domani? Io credo che ognuno di voi si sia posto questo quesito, prima o poi. E so anche che di risposte ai suoi dilemmi, beh, quelle proprio non ne ha trovate. Ma anche se oggi è il primo giorno che affrontate questa sconvolgente riflessione, sappiate che non è grave, e che nulla è compromesso: la verità è disposta ad abbracciare chiunque, perché ogni essere umano ha diritto di conoscere la verità, e di venire a patti con essa”.

“E la verità è questa.

Avete presente quelle fantastiche rappresentazioni teatrali che si vedono in giro, che sublimano il bisogno della conoscenza con i piaceri dei sentimenti artistici? Ebbene, vi siete mai chiesti il motivo per cui ad ogni personaggio che calca la scena corrisponda un artista ben preciso, che ripete giorno per giorno la sua parte, la sua recita, la sua migliore messa in mostra di qualcosa che è fuori e dentro se stesso?”

“Semplicemente perché ogni attore è padrone di un suo ruolo, un ruolo calibrato che solo un singolo talento può ricoprire nel migliore dei modi. E ripetere per sempre, fino alla perfezione, fino alla precisa identificazione tra l’uomo e l’artista, il sogno e la realtà, il creatore e la creatura”.

“Capito cosa succede a tutti noi, dal momento in cui nasciamo fino al funesto giorno in cui lasciamo la scena? Noi siamo gli attori sopra il palco della vita, ed ognuno è chiamato a recitare il suo stesso ruolo. Per tutti i secoli dei secoli, perché la manifestazione del nostro magico esibire non potrà mai cessare. In altre parole, io vi sto dicendo che tutti noi saremo su quel palco per sempre, perché quel palco è la vita in tutto il suo mistero, che mai ebbe inizio e mai avrà fine. Ciascuno ha la sua parte, nella parte di se stesso, tanto per essere rassicurati sulla singola individuale volontà di dare comunque il meglio. Non bisogna pensare che stiamo al mondo per portare in giro un copione scritto da altri, da un autore sfuggente, severo, invisibile e di cui si mette in dubbio la stessa esistenza. Non bisogna pensare che si giochi per lui, per gli omaggi dietro le quinte, le ricompense, la fama, i posti di onore. Ogni uomo mette in scena se stesso, è autore, impresario, regista ed attore dei propri pensieri e del proprio incessante agire. Questa è la verità”.

“Quindi, che da oggi nessuno si nasconda dietro i paraventi di mille negazioni, messo in guardia nel suo stesso vivere: tutto ciò che avrete modo di fare, di pensare, di sognare, di soffrire, di creare, e di tutte le altre cose che ci riempiono i giorni ed i battiti del cuore, ebbene tutto questo lo ripeterete per sempre, perché sarà la parte che avrete scelto per voi. Che ognuno di noi avrà scelto per se stesso, fino alla fine dei tempi”.

“Ecco il senso dell’Eterno Ritorno. Un ritorno infinito, incessante ed identico alle sue tracce che si perdono lungo la coda dell’atemporalità, ritorno sui propri passi, sulle proprie spoglie immortali. Ogni persona rivivrà la sua vita perennemente, sempre identica a se stessa, anche nei più impercettibili movimenti e sospiri dello spirito, così come un nastro riavvolto e riavviato emetterà la stessa musica, precisa ed uguale a se stessa in ogni sua pausa ed in ogni sua aria. Per tutti voi ci sarà un giorno come questo, un discorso come questo da capire o rifiutare, per sognare o per vivere, così come per me arriverà puntuale il momento in cui presterò il fianco all’eternità comunicando a voi tutti la sua unica, incancellabile Verità”.

“La stessa Vita, le stesse frasi e le stesse cose dette e fatte allo stesso modo in quello stesso istante: in fondo è solo un surreale o volgare stratagemma del Destino, un compromesso tra la precarietà dell’esistenza, il sogno di sconfiggere la morte e la responsabilizzazione di noi tutti, nella nostra coscienza individuale. Avere in dono non la Vita eterna, ma Una vita eterna ed eternamente uguale a se stessa, quella che ciascuno sceglie per sé, in tutta la sua libera determinazione e necessaria consapevolezza. Se il libero arbitrio si combina con l’assillo morale di ogni attimo che si succede, nessuno può dirsi giocato da uno scherzo imprevedibile del Fato, perché ogni decisione, che si carica di un significato infinito, ricadrà solamente sulle nostre spalle, con tutto il peso della sua incombente ineluttabilità umana. Adesso la scelta sta ad ognuno di voi, esseri mortali di questa vostra vita, che si eternerà nel gesto consapevole di una reiterazione fuori da ogni schema temporale. Che tipo di sogno reale volete regalare al vostro Eterno Ritorno? Ha ancora senso il compromesso, qualunque esso sia, dinanzi ad una riflessione dolorosa che si moltiplicherà all’infinito? Hanno ancora un motivo queste mie parole se le vostre facce resteranno inanimate lungo i corridoi dell’eterna chiamata all’appello?”

“Adesso uscite e cominciate a vivere, sapendo che ogni vostra manifestazione, ogni prova della vostra autocoscienza vi perseguiterà sin dentro la notte dei tempi, e convenite sul senso stesso delle vostre dannazioni: quale tipo di vita preferite vivere e rivivere e rivivere ancora? Non sono obbligato a proseguire oltre, perché la risposta si trova dentro ognuno di voi.

Qualunque essa sia, siate certi del fatto che diventerà un’ipoteca perenne sulla felicità che ognuno di noi ritiene di dover meritare.

Un’eterna risposta per un eterno ritorno. Sta a voi tutti”.

Questo, più o meno, è stato il discorso complessivo e generale che Nietzsche ha voluto fare per motivare e rafforzare l’idea di una completa ed assoluta presa di coscienza dell’esistenza da parte di ogni essere razionale. Non spetta ad alcuno analizzare i sensi profondi e la portata di un pensiero simile. Non è nemmeno lo scopo preciso di questa riflessione, ad essere sinceri. Lo spunto prende le mosse da quella parola che tanto affascina e tanto suggestiona gli esseri umani: eterno, eternità. Ovvero infinito. Insieme ai filosofi, agli scienziati, ai poeti, c’è un’altra categoria di menti elette che si occupa (verrebbe da dire che se ne occupa…da sempre) di un concetto così dirompente e materialmente impensabile (incategorizzabile) come quello dell’infinito. Si tratta dei matematici. Il pensiero matematico non esclude mai nulla a priori, ragiona spesso per assurdo e linearizza in forme pure l’astrazione potenziale dell’intelletto umano, sintetizzando per rappresentazioni numeriche armonie indecifrabili di codici universali ed esistenziali.

Il pensiero matematico ci dimostra che due rette parallele si incontrano all’infinito, sfruttando la profondità metafisica di quell’inimmaginabile appuntamento a cui mai nessuno potrebbe assistere, dal basso della sua angolatura a tre dimensioni finite (e conseguentemente FINTE).

Il pensiero matematico ci ricorda che tutto è divisibile per tutto, e che non esiste limite ad una formula indeterminata come la frazione per zero, oppure per ∞. Se questo è vero, qual’è il legame fra la matematica ed il pensiero di Nice, segnatamente la sua teoria dell’Eterno Ritorno? Sarà ormai chiaro che l’arcano risiede giusto nel senso di quel concetto sfuggente, l’infinito.

Infinite, e sempre uguali saranno le vite che vivremo nell’eterno ritorno pensato e postulato dal filosofo tedesco. Se questo è vero, e se decido di crederci, avrò nelle mie mani il mio destino perenne, e sarò per sempre responsabilizzato, per tutti gli attimi che vivrò ininterrottamente. Se dunque, in questo preciso momento, io decido di alzare il telefono e provare a parlare finalmente con quella persona che tanto mi sta a cuore, così tanto che mai ebbi il coraggio di decidermi in proposito, vorrà dire che lo farò per sempre, che per sempre alzerò la cornetta e formerò le cifre del suo numero, che le parlerò per sempre, comunque vada, anziché restare per sempre a guardare quel maledetto oggetto e non agire mai, o al più farlo successivamente, ma alimentando per sempre questa attesa angosciosa per i giorni che verranno. E tutto ciò, come al solito lo ripeterò ad infinitum.

Potrebbe sembrare un ragionamento perfetto per spingermi a fare in ogni momento quello che davvero desidero, e nello stesso momento in cui lo voglio, proprio perché, come si legge nell’Amleto “quel che noi vogliamo, lo dovremmo far sempre nel momento della volontà; perocché tale volontà in breve cambia e va soggetta a tanti ostacoli e differimenti quante sono le lingue, le mani e i casi che si frappongono, onde allora il nostro concetto si risolve in un doloroso e profondo sospiro che esala e prodiga invano il soffio della vita”. Proprio ciò che auspicava Frederico per coloro cui si rivolgeva nell’esposizione del suo pensiero. Con una più alta, intrinseca significazione di quella volontà che si rafforza nel suo ripetersi eternamente.

Ma ora, con calma e ponderatezza, si ragioni attentamente su ciò che si è detto: ogni mia scelta si ripete identica in tutte le mie identiche vite che vivrò. Se adesso urlo a squarciagola senza un preciso motivo, la eco di quell’urlo si trascinerà lungo i secoli ed i millenni di ogni mio ritorno, per ripresentarsi sempre allo stesso modo e nello stesso momento. Eppure, un dubbio si annida nel mio ragionamento, un dito di polvere decisivo negli ingranaggi della logica esposta.

Chi mi assicura che la stessa vita di cui sono cosciente in questo momento, non sia essa stessa una copia identica di altre vite uguali già vissute in precedenza? In altre parole: quale è la probabilità che questa sia la prima volta che io vivo questa mia vita e che dunque, effettivamente, sia in grado di indirizzarne il corso secondo la mia volontà attuale ed immanente?

Una sola, una sola possibilità, contro le infinite altre mie uguali vite già vissute, agita lo scenario di una mia attuale, e potenziale capacità di decidere realmente, liberamente, da principio, il mio eterno avvenire, ed il mio eterno ritorno.

C’è una sola possibilità, dunque, rapportata all’infinito. In matematica, questo valore probabilistico di 1 su ∞ equivale ad un numero di confine misterico, spiazzante, atroce, un baratro tra bene e male, nero e bianco, nulla e vuoto assoluto: lo zero.

In sintesi, esiste una probabilità pari a zero che, nell’infinito ciclo delle mie rappresentazioni terrestri, sempre identiche a se stesse, sia questa la prima delle infinite mie vite uguali. Probabilità uguale zero. E’ stato già tutto deciso: da me, nella vera e reale prima apparizione che feci, chissà quando, dove e come. Tutti questi miei ragionamenti sono il riflesso di uno specchio infinitamente distante e perenne, che si trascina dentro di me dalla notte dei tempi. La mia autonomia, la mia libertà, la mia coscienza riflettente e generatrice pende al gancio del dejà-vu, e del dejà-vécu. Del già deciso: da me, ma già fatto, e altrove. Posso sentirmi libero di innalzare la mia unicità perenne, ma sarò sempre schiavo di un’ombra che proietta il mio smarrimento nei lidi più profondi del mio essere: schiavo di me stesso. Così, non c’è liberazione, non c’è assolutezza di pensiero, di azioni e di gesti umani, quotidiani e millenari. Così, mi resta solo un paradossale e cupo smarrimento, un eterno rimpianto di una purezza e di una innocenza primigenia, sporcata e sedotta da un passato che torna, sempre identico al mio presente, assente nella sua cosciente libertà.

Sono in trappola, carnefice di me stesso, inchiodato da un assunto matematico e da una legge universale ed immutabile.

L’eterno ritorno ha sconquassato la mia logica, i miei slanci irrazionali, le mie passioni, i miei sentimenti, le mie pulsioni primordiali, le mie aspirazioni celesti e superomistiche.

Dentro un reticolo di forme geometriche ed esistenziali, lungo i tracciati del simbolo e della parola, incuneato nei codici matematici delle divinità di ogni tempo, il mio sguardo sul mondo si perde di sconcerto e fatica, e da questo istante nulla sarà più come prima, pur restando una copia del mio eterno passato.

Come due specchi opposti e riflettenti, i cerchi concentrici della mia coscienza mi schiacciano lungo i crinali di una responsabilità senza più coordinate e significato, e tutto il vuoto che mi circonda si catapulta al centro del mio spirito.

Le mille simulazioni ed il flusso di immagini e sospiri che devastano i miei spazi esistenziali, urlano la loro condanna.

Mai più potrò essere libero, perchè sono stato sottomesso dal più insidioso, nascosto e subdolo dei miei peggior nemici: me stesso.

Sono qui che osservo da dentro il mio io, e non mi ricordo più, non riconosco più il principio delle scelte. E questo momento perenne di perdizione si reitererà senza fine, per mia somma ed esclusiva colpa.

Sto male, mi sembra di impazzire, mi si gela il sangue nelle vene, e paralizza le mie membra e la mia lingua. Non ho più voglia di pensare, di accogliere con devota dignità il monito severo del mio istinto di sopravvivenza, permeato e fortificato dalla cultura umana millenaria… Sto male…..

Forse Nice così impazzì .

 

Vecchioleviatano 1999

5 LUGLIO 1982


Sarò asettico. 40 anni sono solo un numero.

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Scena 1: Vico Equense – Via Raffaele Bosco – Villa Cobra esterno giorno, ore 10 circa.
il bambino di 10 anni legge “La Gazzetta dello sport” sul tavolo fuori il balcone della cucina. C’è la carrellata degli 11 avversari in campo, con foto e breve dichiarazione (all’interno). Il suo immaginario fantafanciullesco viene colpito dalla frase di Valdir Peres, portiere brasiliano: “Temo il risveglio di Paolo Rossi”.

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Scena 2: Vico Equense – Via Raffaele Bosco – Villa Cobra interno giorno, ore 16 circa.

il bambino di 10 anni sta facendo un riposino sul lettino del salottino, persiane chiuse, la luce penetra dalla porta come una visione metaspirituale, e quella suggestione e quella attesa e quella emozione irripetibile si traducono in una supplica diretta a dio. “Ti prego, facci vincere”.

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Scena 3: Vico Equense – Via Raffaele Bosco – Villa Cobra esterno giorno, ore 19 circa.

il bambino di 10 anni e suo fratello maggiore assistono alla parata di Zoff (LA parata. quella là su Oscar) con animo sollevato e tranquillo, perché al gol di Antognoni, di pochi minuti prima, sono partiti per un’esultanza dentro casa che ha impedito loro di scoprire che la rete è stata annullata, che l’Italia ha solo un gol di vantaggio, e che no: “ma fatelo pure, tanto siamo sopra di 2”, non è affatto vero. Lo scopriranno dalla sovraimpressione, quel 3-2 che pensavano fosse un errore. Con ciò risparmiandosi però un supplizio metafisico. Magari, avessero saputo il vero stato delle cose, si sarebbero attorcigliati mani piedi becchi e capelli tra loro nella sofferenza (per inciso tutto ciò mentre L’altro, il grande altro appena 6enne, si beava di una spericolata superiore incoscienza – ma questo è un altro discorso cioè in verità lo stesso e quindi ce lo dovevo mettere per forza): una di quelle belle sofferenze che ti dimentichi nei contenuti ma non nei contorni e che ricordi di aver provato e lo ricordi perennemente anche se non te la ricordi materialmente più (materialmente, poi!); ma magari furono proprio loro due, con una telepatica serenità unica al mondo in quel momento – i soli a pensare di avere vinto già – a creare i presupposti di quella parata, LA – parata. Sincronicità. Come il temuto risveglio di Paolo Rossi in bocca a Valdir Peres. O la preghiera più candida che sia mai stata fatta: ed esaudita. O semplicemente come il fatto che due fratelli son state le due sole persone della storia ad aver vissuto questa esperienza parallela fuori dal mondo per come era in quel momento, e che comunque li ha condotti là dove pensavano di essere già. Vaglielo a spiegare alla vita: è impossibile, è oltre.

Quindi, sarò asettico:

40 anni sono solo un numero: un numero ad effetto /di un 5 luglio perfetto /per il quale è valso il cammino/ d’esser stato a 10 anni quel bambino.

(darei tutto ciò che mi resta per tornare là, a quella settimana. quella solamente e basta, e la si chiuda qui, triplice fischio. Ma oggi alle 16 non ci saranno suppliche, né entità cui rivolgersi. Funziona così – e fa male, ma di un male bello – quando passano non asetticamente 40 anni di tutte le mie vite che ci sono e non saranno più. )
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