non posso ricopiare o fotografare ciò che scrissi due anni fa sul mio diario. potrei anche farlo, forse lui lo farebbe con lo spirito del suo variegato estro artistico, ma io non ce la faccio, e neanche per una sorta di pudore pubblico, tanto questo blog è frequentato da due sole persone – chi ci scrive da circa 20 anni, e chi per caso ci si imbatte (nel mare magnum della rete capita anche questo), passaggio veloce di 20 secondi e via. Però, ho piacere sorridente nel riassumere quel che sul diario scrissi un anno fa, nel primo anniversario del suo congedo da questa terrena esistenza: un sabato di lavoro affrontato con una sorta di superiore pace spirituale a seguito del sogno notturno. Che, durante la visione di una partita nella nostra cucina, arrivava il terremoto. E che, al mio panico associato, lui mi consigliò di … contare. Quella classica, semplice, quasi banale, geniale da pensiero laterale svolazzatura di ingegno e fantasia surreale. Conta – mi disse – tu conti e vai avanti e più crescerà il conto più vicino sarà il momento in cui si approssimerà la fine del movimento che ti arreca tanto spavento. il senso del suo dire fu quello, la musicalità poetica della frase ce l’ho messa io, come omaggio.

Oggi, nel secondo anniversario del suddetto suo congedo terreno, posso dire con sincerità e certezza che mio padre continua ad insegnarmi cose, sebbene a distanza di spazio e di tempo. Come peraltro è accaduto nella maggior parte del tempo della vita in cui fummo insieme a calcare polvere e memorie.