Archive for Luglio, 2020


Poi:

accade che da qualche anno mi danno (in soggettiva, non da compassione altrui – pfui!) per lavorare con estenuanti difficoltà al mio processo mentale temporale per concentrarmi e badare all’essenziale del momento sospendendo le transizioni da prima a poi, viceversa e sottoveste, io sospendo e concentro e spremo la spugna del reticolo delle motivazioni cerebrali.

Ora.

Parlo di un unico spazio tempo vitale concentrato. Concentrico. Capito?

Ed ora, non interlocuzione ma precisamente: ora

Già di mio eventualizzato ad inizio bisesto a trapassarmi di ricordi, la vita e la morte che se ne portano altri e mi vanno oltre e mi escono da tutte le orecchie dello stomaco e dai pori dei poi che mi condannano al fu, insomma. il concentrato si è spappolato ovunque nelle pareti di ogni parto ed ogni parto è un partire scindere e generare gli avanti e gli indietri: era il tempo che mi sopravanzava e l’angoscia che mi rimontava (sopra strati di calma – me doc).

Già di mio – dicevo (al passato che è mo’): ingabbiato nel paradosso, me lo sono meritato: se non passa il tempo necessario, di fuori, non bergsoniano, proprio materialmente tic tic secondi minuti ore notti lavoro (quella roba) non ne esco fuori, non ne usciamo fuori – letterale – e non si esce più e non vivo più i rantoli di quella che è la mia essenza, oltre il tempo in uno spazio del tempo ben preciso, che riassume passato e presente nelle istantanee.

Quindi appallottolo tutto e devo fare il conto alla rovescia mettendo fra lui e me null’altro che il nulla.

Forse magari un giorno scoprirò che sarebbe sempre stato meglio così.

E quindi non scrivendolo (me) lo testimonerò.

NATO IL 4 LUGLIO


sarebbe andata in questo modo: oggi avresti compiuto 44 anni, ed essendo sabato saremmo venuti da te, all’Oasi, ed avremmo festeggiato a nostro modo, coi biscottini, le foto, le corse e le pazzielle varie. Tu, con papà, zio, i fratelli e la sorella, saresti stato contento ed avresti fatto grandi bocconi e grandi risate. Poi ci saremmo congedati con un bacio, e poi – lungo la via del ritorno – io avrei pensato a tutte le sensazioni vissute, ed avrei avuto un solo punto cardinale nella mia testa: tornare a casa, scaricare le foto, e sentirmi felice. Ed immaginare, illudermi, di prolungare in sede perenne quei momenti speciali attraverso la mia memoria. Avrei di certo provato la pienezza della tua presenza, in mezzo al caldo, allo stravolgimento fisico, ed ai mei circostanziati processi di archiviazione diaristica, come ogni volta, per ogni momento, per ogni ricordo. Sarebbe andata così, fratello mio, amore mio, Sergio, indistruttibile in me. Invece: pare che tu, fisicamente, da queste parti, non ci sia più, ed a me restano solo amare parole, un senso di oltraggio per l’assenza del tuo sorriso, un senso di raccapriccio per come è andata la storia, ed un bisogno oramai inapplicabile di abbracciarti, baciarti, odorarti e viverti. Ma lo ripeto e tu lo sai, ovunque tu sia e tu possa parcepirlo: che finché io campo, tu sei vivo dentro, dietro, sopra, sotto, al fianco, di lato, intorno e perenne in me. Posso rassegnarmi a qualunque sogno perso, nel passato, nel futuro ed in mezzo: ma a te non ci rinuncio. Che quindi benedetto sia il giorno, quel 4 luglio del 1976, quando ti vidi per la prima volta. La domenica che il mondo si fermò per un istante, stupefatto da tanta meraviglia. Prima di quell’altra domenica che ti portò via, che il mondo si fermò una seconda volta, affranto, stordito, allentato nei suoi illogici ingranaggi di dolore. Non ho bisogno di voltarmi indietro per vederti, mi basta chiudere gli occhi e darti la mano, perché io ti amo. Perché io ti amo. Auguri a te, per tutto ciò che vorrai, mio mio mio Sergio: anima fragile, irripetibile, unica, meravigliosa.

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