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mi è sempre stato detto che scrivo bene, cosa che peraltro non ha alcun significato: nessuno scrive bene, in realtà o sai scrivere o non sai scrivere e il 99% del totale semplicemente ricade nella seconda triste realtà, e questo accade perché le persone non sanno pensare, ma non nel senso che chi pensa male parla male e scrive male (parafrasando un noto imbarbaritore di gusti e stili): è che proprio nessuno più riesce oggi ad avere un pensiero personale, unico, proprio, esclusivo, originale. Tutto è eterodiretto, prestampato, definito dietro le quinte, sopra le quinte, e la totalità del magma pensante è un ammasso di pesci morti indistinguibili che vengono a galla.

Saper scrivere bene è oltretutto inutile perché chiunque scriva sa che si scrive solamente come necessità personale, come sfogo dalla nausea che ci circonda fuori, e sovente dentro, e dunque il valore della scrittura non è estetico, né estatico, ma totalmente terapeutico, se non psicoterapeutico. Ciò che è utile, anzi vitale per il singolo, difficilmente salverà il mondo, sempre in agguato per fagocitarlo ed espellerlo inibendo ogni sua residua energia mentale.

Ma lo spunto casuale sulla bella scrittura e sul sapere scrivere bene mi ha fatto pensare a quanto questo possa dipendere, nel mio caso, nel caso di chiunque o in qualunque caso si usi questa espressione (per chi legge, non per me personalmente che evito di leggere) – da un procedimento per sottrazione, dovuto all’enorme mediocrità in cui siamo tutti immersi, la mediocrità assoluta della cosiddetta cultura nobile, la scrittura in primis.

Ora, in un eccesso di ottimismo, posso pensare che una volta esisteva la Letteratura, quella appunto con la elle maiuscola, e sto parlando di qualcosa che risale a mezzo secolo fa, o forse ad un secolo fa. Ad un certo momento è arrivata la televisione e no, non è la solita menata sulla televisione che ha appiattito gusti e senso critico, è la verità, è che bisognava ammaestrare le masse ai consumi, e fin qui niente di strano, in senso lato. Ma il mezzo era così appariscente, luccicante e soprattutto POPOLARE che anche i bravi e saggi e talentuosi scrittori, ragiono sempre per sottrazione rispetto ad uno o due secoli fa, hanno desiderato non più di scrivere, ma di finire in tv per parlare di loro, dei loro libri e di quanto fossero bravi, e lì finendo, sono finiti – in senso letterale e letteraturale (doppio gioco di parole). Finita la cultura, finita la letteratura, è stata ad essa sostituita in mondovisione un solo unico immenso salone d’intrattenimento intervallato da spot, vendite su televendite e in mezzo, infine, a dare un tocco aureo di merdosità travestita di culturame, l’apologia della mediocrità: il telegiornale, le news, l’informazione, la conoscenza dei fatti del mondo: una particolare invenzione del secolo breve in cui i più mediocri di tutti, i giornalisti – e stiamo parlando di persone che non sono neanche in grado di svolgere un mestiere minimamente complesso, tipo il meccanico, l’imbianchino, il fattorino – questi individui si armano di microfono per descrivere, in modo sgrammaticato e da perfetti automi lobotomizzati, quello che accade intorno a noi, che noi vediamo prima e meglio ed in modo più chiaro – essendo noi negli uffici per le strade nei treni negli stadi nei cessi pubblici e nella merda della vita normale, non in uno studio televisivo – roba che anche un demente farebbe con meno banalità, artificiosità e pomposità. Da tempo sostengo che i telegiornali non siano altro che cartoni animati per adulti e credo che mia nipote sarebbe molto più talentuosa ad organizzare e mandare in onda un cartone animato del genere, anzi ne son ben certo, visto che i bambini hanno più capacità, più fantasia e più elasticità nel creare storie bizzarre e immaginifiche in cui convivano gioie, dolori e amenità varie: del resto, se sono gli adulti a creare cartoni animati per bambini, perché non pensare che si possa fare il contrario? Verrebbe tutto molto meglio, con più stile di certo.

Dicevo dunque della massificazione della cultura all’interno di un contenitore in cui si è liquefatta anche la letteratura, con scrittori sedicenti che han smesso di fare il loro presunto mestiere per parlare in televisione del loro presunto scrivere, e giornalisti, che non sanno cosa sia una mestiere, che li ospitano, li accolgono e gli pongono domande da decerebrati. Un pastone raccapricciante che svende per sempre il concetto stesso di letteratura e, più in generale, di capacità umana nell’uso della Parola.

Mi immaginavo Kafka.

Kafka invitato ad una di queste trasmissioni, un talk show di intrattenimento che ha il suo punto forte nell’intervista conduttore-scrittore del momento del secolo del sistema.

Kafka che è stato coinvolto a sua insaputa, pallido ed emaciato, si accorge con terrore e troppo tardi di dove è finito, un minuto prima di andare in onda, mentre il grande conduttore, il giornalista spiritoso e politicamente corretto, ma comunque audace, ironico e pungente come piace alle masse, che lo introduce in questo modo: “ha trasformato i nostri incubi quotidiani in un aggettivo; ha trasformato un essere umano in un insetto repellente e commovente; ha trasformato le nostre paure più recondite in processi psicanalitici. Ecco a voi il più grande trasformista della storia della letteratura: signore e signori, Franz Kafka”!

Immagino Kafka paralizzato dall’orrore che entra nello studio a stento, la vista annebbiata dalle luci e dai riflettori che rendono l’aria calda ed irrespirabile, le orecchie ovattate dagli applausi e dai ronzii nella sua testa, testa che gli gira in tondo, sopra e sotto, e nausea che lo assale ovunque, al dunque che avanza di pochi passi prima di vomitarsi in diretta sulle scarpe, e che con un soffio di voce dice: mai come in questo momento ho desiderato così tanto di trasformarmi in un enorme insetto.

E la sala ed il conduttore giù a ridere.

Ecco perché una volta ho scritto sottrarre è sotterrar; non intendevo solo giocare all’anagrammare: è che, per differenza, per sottrazione, per azzeramento della cultura e della letteratura, sei costretto a cercare altrove, in altro tempo – sotto terra – un qualunque senso, uno stile, qualcosa che valga, qualcosa di vivo: perché qui tutto è morto, puzza di putrefazione, un’informe melma di mediocre banalità che ti strozza il cervello.

Avrei spento la televisione al vomito, mi sarei perso la battuta, avrei avuto anche io, da spettatore voyeuristico ed autoindulgente, imbarazzo, nausea e disagio: sono un tipo sensibile e mi immedesimo spesso nei miei idoli, si sa, e forse sarei ricorso all’alcol ed avrei fumato una sigaretta in silenzio, vittima di pensieri più grandi della forza titanica di sopportarli, e sarei stato costretto a rivedere in rete, il giorno dopo, quel che mi ero perso della sera prima, la sua battuta sullo scarafaggio e le risate del pubblico e dell’insigne insuperabile giornalista.

Terrificante.

In un’epoca del genere, ha senso dire che qualcuno scrive bene?