Non so se “ il nostro” si trovasse sotto l’effetto di qualche beato miscuglio alcolico dell’animo umano che spesso (cioè sempre) si erge a protagonista indiscusso e sotterraneo delle sue storie di ordinaria follia, anche se poi nella sua abbattuta barriera fra arte e vita non potrebbe essere altrimenti, ma in Musica per organi caldi fa capolino questo profondo pensiero sull’amore:

“L’amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri”.

Il concetto di amore rappresentato nella sua (non inusuale) veste pregiudizievole e pretestuosa va tuttavia fortemente esteso, per essere cioè applicato a tutte quelle che sono le altre forme di passione che caratterizzano la normale esistenza umana.
La poesia, la musica, il cinema, ed i più coinvolgenti interessi che ciascuno di noi, con la propria ineguagliabile e personale sensibilità è capace di creare o donare al suo intelletto emotivo, sono il frutto di un pregiudizio che affonda le sue radici in un limite di conoscenza incolmabile, che solo il più presuntuoso e superficiale degli esseri umani può negare o, il che è peggio, ignorare del tutto.
Basti solamente pensare a quante volte ci è stata posta una domanda del genere: “Qual’è il tuo autore (musicista, letterato, filosofo od attore che si voglia) preferito?” E (pensare per riflesso) alla risposta che siamo soliti dare, che tautologicamente parlando contiene una lista di coloro che in un dato campo ci stanno più a cuore, misteriosamente inclini a sollecitare le corde del nostro più profondo sentire. Ma se rispondessimo semplicemente “a me piace solo ciò che casualmente conosco” non si andrebbe troppo lontano dal vero. Infatti, la proporzione tra ciò che apprezziamo e ciò che disdegniamo, tra ciò di cui possiamo parlare con una giusta disposizione dell’animo e ciò di cui neghiamo ogni validità estetica potrà pure essere ampiamente mutevole ( ed essere quindi pari ad 1 per tutti coloro che amano tutto ciò che conoscono, o pari ad un valore molto basso per chi – ad esempio – fra 10 o 100 autori ne riconoscerà solo un paio come meritevoli della sua stima artistica e spirituale); ma la proporzione tra tutte le creazioni artistiche delle quali abbiamo immeritatamente avuto l’onore di percepirne una sia pur minima scintilla, e quelle che dalla notte dei tempi hanno confuso i propri suoni e tutte le loro parole con il battito continuo dello spirito del mondo, ebbene questa proporzione assume un valore così piccolo che per esprimerlo ancora non ci è dato di pensare un numero tale. Quanti autori, contemporanei di Balzac, di Dostoevskji, di Shakespeare, di Leopardi, di Schopenhauer, e degli altri migliaia di artisti immortali che ogni epoca ci ha consegnato, hanno creato nel loro anonimato (giusto o sbagliato che sia e non sta a noi – nè è possibile stabilire a chi – giudicarlo) dei capolavori che solo per caso qualcuno fra le tante anime che in ogni tempo popolano i giorni dell’esistenza è stato in grado di scoprire, di capire, di amare fin dentro le proprie ossa? Senza passare per coloro che invece hanno segnato per sempre la storia delle storie del mondo, le menti elette e universalmente riconosciute e tributate degli elogi dei comuni mortali di tutti i secoli. Migliaia, milioni, miliardi. E molteplici sono in ogni campo le offerte che alle disponibilità contingenti degli uomini si aprono dinanzi ai nostri cinque sensi. Registi ed autori più o meno noti, e quanti cultori che se ne escono con un nuovo gioiello, una rivelazione, un ennesimo conquistatore di anime. E quanti musicisti, e quali gruppi misteriosi e mondiali, e quanti minimi o massimi comuni denominatori di sentimenti. Eppure, alla resa dei conti, ogni uomo ha i suoi punti di riferimento, e non è disposto a transigere, né a cedere il passo deferente rispetto ai gusti diversi e controversi degli altri. Giammai! Anzi, nostra massima ambizione è quella di diffondere il nostro verbo, che quando non si sposa colla specifica rara capacità di farci apprezzare per le nostre talentuose doti artistiche, declina decorosamente nel tentativo di imporre le nostre sensibilità, i nostri gusti, i nostri culti personalissimi, consapevoli noi che solo una quanto più estesa condivisione di essi può alimentarne la validità ai nostri (ed altrui) occhi, ma quand’anche ciò non dovesse accadere resta, per un rovescio della medaglia, la sublime ed illusoria sensazione perversa di capirne più degli altri, di aver scoperto un piacere di cui noi solamente siamo i destinatari eletti.
Per non appesantire il discorso in modo esageratamente teatrale, si può concludere che tutti gli interessi che ciascuno di noi cura in ogni campo esistente delle arti (e quindi della vita), è solo il risultato di un casualissimo incontro di affinità ed emozioni comuni tra l’artista che creò la sua opera ed il fruitore (cioè tutti noi) che ne ottenne una corrispondenza di sublimi richiami.
Perché c’è chi ama la letteratura russa e chi predilige il naturalismo francese, mentre altri si legano a filo doppio con la produzione degli antichi greci e c’è chi non disdegna l’opera di un grande filosofo del passato, né le creazioni fantastiche di un qualunque Stephen King contemporaneo?
Semplicemente perché – esclusa a priori la possibilità di riuscire a sondare e saggiare tutte le opere d’ingegno morale, materiale e spirituale create da tutti gli autori in tutti i tempi ed in tutti i campi del sapere e dell’agire (ed il discorso si ramifica in viottoli infiniti, passando dagli stilisti agli architetti, dai giornalisti sportivi ai giallisti, dai tennisti ai ciclisti, ecc.), allo scopo di poter operare una scelta con cognizione di causa assoluta – ognuno nel suo piccolo riesce ad apprezzare quel poco con cui è venuto a contatto nel corso della sua formazione culturale, magari dopo una scrematura di opere ed artisti che pur potendo apparire rilevante ai nostri ed agli altrui occhi, è pur sempre infinitamente limitata rispetto a tutto ciò che resta fuori dalla porta (e dalla portata) del nostro mondo interiore (e delle nostre capacità materiali di conoscenza).
Qui non si intende discutere di valori estetici universalmente riconosciuti, perché si ragiona del gusto e delle idee dei singoli individui: nessuno mette in dubbio che la Divina Commedia sia una delle più grandi opere mai scritte dall’Uomo, ma resta il fatto che Tizio preferisca Gogol a Dostoevskji pur non conoscendo lo stile di Tolstoji, mentre Caio esalti i Soundgarden ed i film di Aki Kaurismaki disdegnando riluttante il pop inglese ed il cinema spagnolo (ma chiedendosi spesso come siano le storie di Kieslowski e del cinema Coreano).
Ciascuno di noi, alla stretta finale, seleziona un campione di emozioni che più si accosta al modo personale di pensare la vita e di vedere il mondo, e ritrova in alcune grandi menti, espressive e creative, ciò di cui ha bisogno, la sensazione di non sentirsi solo nel condividere certe passioni, certe esperienze e certi percorsi esistenziali.
Lo stesso ragionamento, in ultima analisi (per ritornare al punto di partenza), che ci porta a considerare il proprio partner come “il grande amore della vita”, l’anima gemella cercata e trovata da sempre, l’altra metà della mela… Palliativi mentali di una inconscia convinzione: è impossibile esperire tutto ciò che ci circonda, è impossibile provare e sperimentare tutto ciò che esiste nello stesso istante in cui si esiste, ed in qualche modo ci si deve accontentare. Esaltare ciò che si è scelto come la migliore scelta possibile è, semplicemente, da “esaltati”. E’ una necessità che si impone alla nostra ragione, secondo meccanismi psicologici ben noti e naturali, per motivare quella stessa scelta, non meno casuale di quanto lo siano tutte le circostanze e le decisioni che affrontiamo e che prendiamo ogni giorno, le nostre scoperte e le nostre nuove sorprendenti passioni.
L’unicità della vita di ogni essere umano riflette la sua enorme solitudine nelle particolari esperienze che lo accompagnano quotidianamente. Ma da un incontro casuale possono generarsi misteriose comunicazioni spirituali che mitigano quel senso di sorda e vuota incomprensione che spesso ci caratterizza.
Tuttavia, il ritenere le nostre scelte come le migliori possibili in assoluto (rispetto alle nostre sensibilità), dal genere musicale alla donna da amare, ha la stessa probabilità di corrispondere al vero come lo ha l’affermazione che tra tutti i miliardi di stelle che esistono in tutte le galassie, solamente il nostro sistema solare ed il nostro pianeta ospitino forme di vita intelligente, malgrado le condizioni di partenza fossero uguali per tutte le cose esistenti nell’universo.
Mondi paralleli, esperimenti del pensiero insondabile, concezioni universali, gusti personali, scelte casuali, articolazioni dello spirito della specie, teorie scientifiche, senso comune e mille altre considerazioni del genere: tutto ruota e contribuisce alla verità ed alla opinabilità di tutto, che sia reale, immaginario od onirico.
Se è vero che stiamo all’universo come una formica sta all’estensione della Terra, figurarsi le nostre passioni universali ed i nostri gusti esclusivi!
Tutto questo può sembrare avvilente, ed in effetti lo è. Ma poiché ogni cosa è ribaltabile nel suo opposto, la logica fin qui dominante ci consegna una grande libertà, la più grande che sia mai stata pensata: l’idea di poter seguire sempre e comunque le nostre inclinazioni, dal momento che non è pensabile che possano esistere, ed avere una consistenza reale ed efficace, limiti di spazio e di tempo alle convinzioni intime ed uniche che ciascuno di noi prima battezza e poi sposa alla missione del proprio ego.
Ogni uomo ha diritto alle sue scelte secondo l’idea ch’egli stesso si è fatto di sé; e quell’idea, per tautologica definizione – è l’unica realtà su cui ciascuno di noi ha l’ultima parola (ed il primo pensiero). Questo massimo traguardo possibile dell’agire umano non ci esime, tuttavia, dal continuare ad inseguire attimo per attimo nuove esperienze modulate secondo la frequenza delle nostre corde esistenziali, e nuove cose di cui poi sia possibile rintracciarne il grado di necessità per la nostra vita.
Fatti salvi i nostri interessi acquisiti, i nostri film, le nostre canzoni, le nostre amicizie ed i nostri amori scelti e confermati in continuazione, sarebbe bello poter pensare che il meglio possa annidarsi in ciò che nessuno di noi ha ancora trovato. Ma che, seppure scoperto e fatto nostro in un qualunque momento della nostra vita, quello stesso “meglio” non potrà cullarci a lungo nell’illusione di aver ultimato la ricerca, perché per definizione, il meglio va ancora trovato, e nuovamente ricercato.
In questo senso, ogni nostra espressione si rapporta all’idea di una costante, continua ricerca, e dunque ad una progressiva elevazione dello spirito.
Una continua ricerca, e la ricerca continua…

VECCHIOLEVIATANO 2004