L’esistenza mi ripugna e repelle (anche la ripetitività, in verità), e non l’avrei mai scelta. Ma, in fin dei conti, non mi dispiace troppo essere me stesso. Certo, è pur vero che se fossi un altro, probabilmente, non proverei questa stessa ripugnanza e forse il tutto mi apparirebbe più accettabile. Eppure, non posso rimproverarmi nulla, non ho scelto io di essere me stesso. Ed anzi, quand’anche all’inizio dei (miei) tempi mi avessero dato l’opportunità di scegliere tra una delle infinite esistenze da ed in cui vivere, essendo che nessuno sceglie per sé il male, il fatto di scegliere di essere me e non un chiunque altro è stato (fu, sarebbe) plausibilmente il frutto di questi ragionamenti: che essere qualunque altra esistenza mi sarebbe stato addirittura più spiacevole e doloroso. In sostanza, che lo abbia scelto o meno, di essere proprio me e non altro nessuno, è una cosa di cui non posso rimproverarmi. Potrei solo rimproverarmi se, in una sorta di coscienza non vivente, e potendo valutare con cognizione di causa SE vivere (ed in quali panni, che poi avrei scelto essere i miei) o non vivere, io abbia potuto optare per la prima eventualità. Se però anche questo fosse vero, dovrei ancora aspettarmi magnificenze e mirabolanti colpi di coda dalla mia esistenza (a ribaltare le convinzioni più truculente ed irremovibili/irrefutabili cui sono giunto dopo mezzo secolo di vita) che al momento, pur con la più fervida delle mie possibili immaginazioni, non riesco proprio a decriptare. Ma almeno ciò mi riconcilia con me stesso fino all’ultimo punto utile per decidere se mandarmi o no a fare in culo. Peccato che, un punto dopo quello, non avrò più possibilità di discernere. E qualcosa mi dice che sia meglio così.