Nel mio modo di non credere a nulla, credo ci siano cose simboliche, date sicuramente
(restituite, mai).
Oggi 29 settembre è di fatto necessario considerarla una di quelle,
anche se ho dissimulato e sperato lungamente che non lo fosse.
Per fortuna col tempo cambierò idea.
Ciò su cui non cambio idea – è matematico –
è la convinzione che tutto questo non valga la pena,
né per me né per nessun altro.
In questa mia certezza mi ritrovo solo, benché
la convinzione sia di caratura ontologica
e prescinda ampiamente dai miei ultimi 40 anni.
Pure, essendoci, mio malgrado e lo ripeto
(se potessi scegliere, anzi – paradosso: se avessi
potuto scegliere avrei scelto di non nascere)
gioco il gioco che il simbolo richiede
ed elenco quelle che sono
le 10 cose – vagamente argomentate – per le
quali vale la pena di vivere la vita…
Perdono, è più forte di me – riformulo
l’espressione:
le 10 cose
per cui varrebbe la pena vivere
se veramente valesse la pena vivere.
Musica
(dopo la parola, la più grande
Invenzione dell’umanità ma, data la sua natura,
non destinata a fare la fine della prima ed in più 100 volte più forte emotivamente)
Figa
(lo so… ma la si pensi in senso lato, o esteso o metonimico o sineddotico, come piacere puro personale ma condiviso, il piacere dell’amore, dell’amore sessuale, il piacere nel ritorno all’utero…di chiunque, l’atto naturale di razza e di specie comune ad ogni esistenza. O proprio come luogo fisico in cui mettere qualunque parte del proprio corpo sia possibile. O immaginabile.)
Pollo – cibo
(in qualunque luogo, o menù o volantino o dovechesia, quando leggo Pollo io mi emoziono e il mio stomaco pure.
È per eccellenza il Mio piatto, il mio nutrimento: se il corpo umano è composto di acqua al 70%, il mio lo è di pollo).
Napoli – tifo
(l’unica fede che ho, e l’immagine è: distinto centrale, allineato al centrocampo, fischio di inizio, sigaretta in bocca, le maglie azzurre in campo.
Avrei il desiderio che le mie ceneri fossero sparse lassù)
Pioggia – cielo grigio scuro
(“sciacqua le memorie dal marciapiede della vita”. Quando il cielo è nero e la pioggia si scaraventa sulla terra senza ritegno, io in quel momento mi sento felice.)
Tramonto
(non si può non guardarlo, anche o soprattutto se nascosto dietro i grattacieli del CD mentre torno a casa dopo l’ennesima battaglia.)
Cinema
(anche l’occhio vuole la sua parte: spesso a mandorla. Potrei elencare 700 visioni negli ultimi 7 anni, ma non posso, passo alla visione successiva)
Leggere
(per dirne due a caso: Kafka e Bukowski. “Un uccello andò a cercare una gabbia”)
Praga
(resta un mistero, come è giusto che sia – data la natura e l’essenza di questa città, ma io ho sempre amato quel luogo – e tutto di quel luogo che per me rappresenta il riflesso della parte oscura, ombrosa, segreta, meravigliosa ed indicibile dell’anima – ma anche la sintesi del ricordo, della malinconia e della gioia confuse e spiazzate insieme.)
Ridere
(anche in senso esteso, come stare bene in compagnia – e magari non propriamente sobri – con qualcuno: il ridere è la condivisione precisa dello stato d’animo più infantile e spensierato, più ancora del fare l’amore, è il piacere mentale senza condizionamenti, la pazziella intonata in un mondo sconclusionato)
Oggi questo mi è passato per la testa, fra un giorno, un mese o dieci anni no so.
Ovviamente, restiamo intesi che la vita è orrenda, noiosa, insensata.
Sensazioni “forti”, VecchioLeviatano!
Mentre ci stavo pensando, allineati telepaticamente già un altro paio di volte per via della magìa profusa a piene mani dalla Musica (dei Marillion), un Fratello visto e vissuto nei tempi dedicati al ritrovo di un altro Fratello mi fece notare la bizzarrìa più vistosa di questo post, vale a dire l’assenza paradossale di quello che poi è da lungo tempo l’unguento che più di tutti (ad eccezione invero della Musica) sta lenendo le mie ferite irrimediabili causate dal male di vivere.
Parlo del Bere.
In effetti lo avevo piazzato nascosto e trafelato nel “ridere”, quando scrivo “non propriamente sobri”, ma l’assurdità è che se penso ai punti enumerati, li immagino precisamente in una condizione di non sobrietà al culmine del loro valore esistenziale più solenne, con particolare riguardo alla Musica, al divorar sessual-culinario del Pollo, alle visioni filmiche, e perchè no a quelle dei temporali, e perchè perchè due volte no allo spettacolo del Napoli (di coppa?), alle cavalcate amorose, alle risate, alle visioni di un tramonto (a Vico Equense?), alle risate, alle risate, alle risate…
E’ che poichè il bere mi è diventato come il respirare, talmente associato a quello che sono (diventato) per sopravvivere, che quasi non ci ho badato.
Ma in una ideale classifica, quella di sopra più o meno non vuole esserlo, appena sotto la Musica – che sta prima e ci sta senza se e senza ma (come recitano i motti delle anime buone), nettamente albeggia, costeggia e posteggia non dico una grappa o un crodino e vodka, ma basilarmente il vino che ogni sera sputa addosso ai miei dolori quotidiani e mi rimanda a dormire con la speranza disperata marchiata sulla fronte.
Amen