Mi viene in mente l’idea che, molto probabilmente, quello che noi stiamo vivendo adesso non convince molto come senso della realtà. Quello che noi sperimentiamo, questo mondo e questa vita, non è la vera realtà o semplicemente non è la realtà, ed è logico giungere a questa conclusione paradossale ed apodittica.
Infatti, prima o poi tutti quanti dobbiamo morire, ma tutti inteso come tutte le cose che esistono al mondo, tutti gli esseri pensanti ed essenti che nascono e vivono ed hanno una presunta coscienza di sé e del mondo circostante.
Sicché, se dopo la vita, nell’ora suprema della morte, non esiste niente, questo significa che la vita è stata inutile, un nulla, un punto, poiché siamo stati infinitamente non nati, poi abbiamo vissuto un certo periodo di tempo, e poi morendo resteremo infinitamente morti. Quindi la vita che abbiamo vissuto è del tutto insignificante (a parte che va a perdersi nel nulla tutta la nostra specificità, le emozioni e le sensazioni), assumendo la circostanza di un particolare trascurabile, è come se fosse stato un volgarissimo e banale sogno: nel sogno può succedere ogni cosa, possiamo commettere qualunque crimine, esplorare qualunque transitorietà, possiamo percorrere qualunque via, però poi il risveglio cancella la sua materialità, come se non ci fosse mai stato veramente. E’ stato un attimo della giornata, e d’altronde quando andiamo a letto, dal momento in cui ci addormentiamo al momento in cui ci risvegliamo, non essendo coscienti del tempo che passa, ci sembra che siano trascorsi pochi minuti, due secondi appena.
La stessa cosa per la vita, nell’ipotesi in cui non ci sia niente dopo la morte: prima di nascere siamo nulla infinito, e così dopo la vita; in mezzo una piccola discrepanza, una discontinuità accidentale, un’increspatura del tempo in cui si è vissuto giusto tre secondi (infatti, la durata della vita che nella coscienza quotidiana si sospende tra passato e futuro, all’attimo della convinzione ineluttabile del morire ci appare come qualcosa che sia trascorso e bruciato nel breve volgere di pochi istanti), un colpo di vento casuale del tutto trascurabile rispetto all’infinito precedente che non nacque mai ed all’infinito mortale che verrà.
Oppure, e questa è la seconda eventualità, può esistere una qualche sorta di vita dopo la morte (ma, essendo questo concetto letteralmente un ossimoro, dirò una qualche inestricabile ed intraducibile forma di esperienza post-terrena) che si abbraccia ad un momento in cui noi non abbiamo una consistenza corporea, bensì spirituale e metafisica, ed allora sarà inevitabilmente quella la vera realtà, perché probabilmente essa avrà una durata molto più complementare rispetto al disegno per il quale siamo stati creati che non questa esistenza, cioè: è quel tipo di essenza che darebbe senso a questo nostro attuale vivere, il quale si articolerebbe come una specie di proiezione, come una sua immagine deformata allo specchio.
Quindi, nell’uno come nell’altro caso, questa realtà non può essere la vera realtà, e di questo ognuno di noi dovrebbe esserne cosciente.
Una soluzione illogica potrebbe portare al pensiero che questa nostra vita, in rapporto all’infinito, si configura apparentemente come un sogno, come se stessimo sperimentando una dimensione onirica di qualche cosa che purtroppo non abbiamo i mezzi per interpretare razionalmente e consciamente, non essendovi una possibilità, nella fase del sogno che stiamo vivendo, di cogliere ciò che è fuori dalla nostra realtà, e cioè la vera essenza umana.
Un po’ come la fase del sogno che caratterizza le nostre notti, legata certamente all’esperienza del quotidiano mediante simboli, immagini e parole, ma scollegata materialmente da essa, con uno scarto mentale che potrebbe sussurrarci un ponte immaginifico tra la vita che noi crediamo di vivere e ciò che ci contraddistinguerà successivamente in una dimensione inafferrabile della nostra componente umana attuale.

VECCHIOLEVIATANO 2002