Un senso di disagio o di vergogna mi attraversa, lui effetto io riflesso, quando mi ritrovo costretto a leggere, nella lingua che “capisco”, certe cose. il fu rappresentante del popolo che spopola nell’isola della televisione e si erge a paladino e riscatto di una parte politica. Il critico televisivo che parla di “sottomissione mediatica alla logica dello show; la subordinazione della politica allo spettacolo ed all’esibizione di sé”. E poi ancora: “tutto ciò non giova certamente alla credibilità dei partiti, del parlamento e delle istituzioni”. Ma dove mai credono di vivere, si illudono o si infangano, già vittime essi medesimi dell’abbaglio e del Sistema – e quindi complici, complici senza appello?
Niente a suggerirgli, un rigurgito di testa, che gli Importanti e Potenti hanno pianificato il tutto e prodotto lo spettacolo che è oggi tvrealtà unificando i tutti mondi, e i presunti straccioni idealisti delle idee che partono dalle istituzioni per finire – ipso e logico fatto – nel baraccone che è unico e conforme. lussuria non è altri che irene, o mara o medesimo re silvio: stesso telefilm in diretta perenne.
"si mente il meno possibile soltanto se si mente il meno possibile, non se si ha il minimo possibile di occasioni per farlo"
Mi disagio e mi vergogno, a parlarne, perché “per come va il nostro mondo tutti quelli che denunciano ed evidenziano il degrado umano contribuiscono, loro malgrado, ad aumentarlo”.
il degrado mentale è un’assise dei grandi manager che dinanzi la crisi debbono tagliare umanità, ma: “è in questi momenti che un vero manager dimostra quanto vale”.
il degrado morale è: “Saviano voleva farsi i soldi; Saviano sbaglia a parlare dei mali dell’italia; Saviano non ha meriti, ha fatto copia e incolla; Saviano raccoglie ciò che ha seminato”.
Non si ragiona più per colpe e responsabilità: si sragiona per superficialità, plastica assenza di compenetrazione, logiche indotte dalla competizione, spietata insidiosa insensata invidia trasecolante.
Tutto diventa dibattito portaaporta affinché sfumi la vera questione.
“esiste un unico modo per dimostrare le cose che si dicono: semplicemente dicendole. Allo stesso modo in cui – non dicendole – si dimostrano le cose che si pensano”. VecchioLeviatano vecchio stampo.
Tutti badano alla sopravvivenza, per piccoli o grandi cerchi concentrici. La sopravvivenza della chiesa è il potere per il potere sulla testa e la paura primordiale agitata come minaccia.
“il cielo è muto e fa da eco solamente a chi è muto”
La famiglia è affarismo, sopraffazione, negazione della solidarietà fuori da quelle quattro mura, mentre dentro di esse si Uccide.
“una gabbia andò a cercare un uccello”
L’individuo è cellula di consumo, l’apprezzamento del merito è un modo per dare valore monetario ad ogni carne. La solitudine e la frammentazione diventano portali per schedature di massa.
“da un certo punto in là non v’è più ritorno. Quello è il punto da raggiungere”.
Non ho difese, non ho attacchi. Ma sono ben saldo all’interno del mio campo: “Due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo cerchio”.
Ci sono pochi momenti, un istante basta, in cui sei convinto di avere: Capito. Tutto converge verso l’irraggiungibile, ed hai la nettezza della chiarezza e della consapevolezza, a tutto tondo nel tuo imperscrutabile universo.
La fanghiglia lascia il passo al respiro.
“Tu sei il compito. Nessun allievo in vista, da nessuna parte”.
il mio contributo al mio contributo, politico, sociale, intellettuale, morale e personale e culturale ed esistenziale trova senso in un sentimento che è oltre il ridicolo del modo in cui il mondo si è bardato. Lui ha barato, io sono completamente in balìa delle mie parole. Ho vinto io perché l’illusione è tutta mia, non puoi piegarla spezzarla umiliarla farla a pezzi dimenticarla: è nata per essere disillusa, si rafforza in questo percorso ed in quell’approdo trova il suo Senso indimostrato, da esso riparte per una meta che è completamento e non metà: "c’è una meta ma non una via, ciò che chiamiamo via è un indugiare".
ed è proprio come quando segno nell’arena, fino allo sfinimento, fino all’ultimo respiro, la soffocazione: quando io segno – come ora qui – io lascio un segno.
E questo spiega anche perché il Napoli è il Mio solo, solidale, apparente, pubblico Contributo.
E altro:
Cristiano aveva ragione sui mandaranci
Sandro e Sergio non saranno mai figli unici
Luca volerà pure da fermo
Generoso continuerà a comporre per nuovi 300 anni
Fabrizio inventerà risate
Dario modificherà di giustezza i testi
Pierpaolo slancerà i suoi denti ottimisti
Giulio incanterà i funamboli
Tutti gli altri non saranno solamente un nome
E tutte le altre decideranno se rimanere dentro questa meraviglia danzata
“è sempre per prova che sulle labbra torna la parola Amore”.
VecchioLeviatano è
“Anche il ministro delle P. O. ha deciso, a oltre un anno di distanza dai fatti, di citare in giudizio la Repubblica”.
“L’autore dell’articolo del 9 luglio 2008 – scrive l’avvocato F. M. – ritiene di dover riportare testualmente le frasi “osteria delle ministre… se a letto sei un portento figuriamoci in Parlamento”. “… Non può diventare ministro una che gli ha succhiato l’uccello”, riferendosi evidentemente al presidente del Consiglio”. Nel secondo articolo il legale della Carfagna contesta un’altra frase, che il giornalista riportava dal Nouvel Observateur: “Un ipotetico nastro… nel quale Marameo Carfregna (amante quasi ufficiale) e M. S. Gelm. (le due sono definite bimbe) addirittura si interrogano reciprocamente per sapere come soddisfare al meglio il primo ministro, evocano le iniezioni che deve farsi prima di ogni rapporto”.
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Qui comincia la comicità surreale che non potevo lasciare eclissare, mentre le strade delle mie fatiche quotidiane mi vedevano pisciare dal riso e piegarmi sui marciapiedi alle 7 del mattino:
L’avvocato della C., nella lunga citazione, sottopone al tribunale anche il presunto “danno” arrecato al ministro. La “ricezione dell’insulto a livello popolare” avrebbe infatti implicato la possibilità “per l’On. Ministro di aver perduto connotati politici di stima e carisma oltreché la capacità di proselitismo”. La C. denuncia “una notevole flessione negativa” nei sondaggi e pretende nei suoi confronti quel “diritto all’oblio di cui ciascun soggetto pubblico gode”. Poi, oltre al “danno morale”, l’avvocato elenca il presunto danno biologico: “In seguito alla lettura degli articoli imputati il Ministro C. registrava anche sofferenze fisiche che portavano la stessa a perdere peso e a soffrire di insonnia e forti emicranie”.
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Marameo, marasua, maranoster:
“capacità di proselitismo”, “diritto all’oblìo”, “perdita di peso”, “insonnia ed emicranie”.
Per le ultime tre consiglio cannuoli alla crema, latte caldo ed aulinio.
Per le prime due non c’è speranza.
OH, CALCUTTA!
Perniola dixit:
“Avvalorando il principio che un’opinione vale quanto un’altra, la comunicazione annulla completamente la competenza e l’autorevolezza di chi è depositario di un sapere. Del resto oggi un messaggio è tanto più comunicativo quanto più è controverso. L’imperialismo della pubblicità ha logorato a tal punto il prestigio del sapere da rendere obsoleto un messaggio unidirezionale ed imperativo: nessuno più ci crede! L’unico modo di portare l’attenzione è perciò quello di presentare l’idea o il prodotto che si vuole vendere come qualcosa di controverso”.
“Per Marcuse, la pretesa della società borghese di presentarsi come l’unica realtà, confinando nel sogno, nell’immaginazione e nell’utopia ogni manifestazione più diretta ed immediata delle pulsioni vitali, è del tutto arbitraria ed illegittima: tale pretesa si fonda su una “repressione addizionale”, in altre parole su un surplus di repressione che non deriva dalle necessità della lotta per la esistenza, ma dalla organizzazione sociale capitalistica. Marcuse rifiuta l’identità tra civiltà e repressione e afferma la possibilità di un nuovo ordine libidico, basato sull’armonia tra pulsioni vitali e ragione, tra libertà morale e civile”.
“Come può mantenersi un potere senza sapere? Se molti governanti di oggi pensano che lo stato ha bisogno di ignoranti, da dove sperano di attingere le conoscenze necessarie per mantenersi al potere? Nel mondo attuale è una grossa ingenuità pensare che lo stato e la religione possano conservare la loro credibilità senza la cultura. Da ogni azione eseguita con zelo e senza servilismo nasce un’eccedenza, che per quanto esigua costituisce la linfa di cui si nutre la civiltà. Senza una società colta, lo stato degenera in una lotta continua di lobbies e la religione nell’arroganza di avere un diritto sulle opinioni e sul comportamento degli altri”.
“Sopraggiunge un’apatia sensitiva ed emozionale in seguito all’invenzione ed alla diffusione di nuovi media. Il medium è un’estensione di noi stessi, dei nostri sensi e delle facoltà percettive: esso riproduce tecnologicamente processi che ci appartengono. Tale estensione è accompagnata da un processo di narcosi ed amputazione delle nostre facoltà sensitive ed affettive. In altre parole, non sono più io che sento qualcosa, ma è l’estensione tecnologica di quella mia facoltà che sente al mio posto. La tecnologia quindi si oppone a me che non la riconosco come una mia estensione, come qualcosa che mi appartiene. Essa è l’idolo che ha preso il mio posto. Con l’avvento di internet noi abbiamo posto fuori di noi il nostro sistema nervoso centrale”.
molto chiaro non è ma cercherò di adeguarmi!
e faresti 300 km solo per le mie orecchie?
Scrivo delle cose – ad esempio il 29 novembre – oppure il 03 settembre – oppure in qualsiasi altra data che qui trovi in corrispondenza dell’apertura di ogni post.
poi decido a mio insindacabile giudizio che altre cose, mie o altrui, pensieri, citazioni, riflessioni, link, sono riconducibili a quelle cose che mi portarono ad aprire un post nel giorno suindicato.
E le allego come commento.
E’ chiaro o devo venirti a prendere a casa per le orecchie?
e perché li fa tutti sul 29 novembre?
Perché questo non è un post, sono pezzi del mio diario virtuale, quindi non sono “vecchi”, semmai VecchiLeviatani
ma perché a marzo scrivete su un post vecchio del mese di novembre?
L’orologio della stazione di Bologna, che vidi dodici anni dopo lo scoppio, ha un’ottantina di fantasmi intorno e perenni.
il mio orologio ha invece da 23 anni lo stesso sangue intorno, e in esso ci è passato di tutto, e tutto ciò che ci è passato non sarà mai – semplicemente – il mio passato, ma anche uno stato superiore del mio essere presente.
Le cose che mi scrivi sono giuste in quanto le scrivi tu, e non so fino a che punto siano sbagliate in generale.
Ma nel mio particolare, e dal mio particolare, la circostanza che più mi fa sentire nei miei panni è il sentimento che provo assistendo al tempo che passa attraverso il mio sentimento.
Forse ho inteso cristallizzare gli oggetti, per farne una mia parodia. ma mai le persone, ed anzi: da spettatore, amo il cambiamento. E mi sbalordisce di curiosa meraviglia quello che riguarda il mio intimo.
il mio dolore è solamente un viaggio dentro di me, che accetto ed a cui voglio bene, ed al quale addirittura, per insondabili processi, sono grato.
ma non voglio che nel viaggio restino dietro le mie valigie di cose, e gli zainetti di pensieri su quelle mie cose, e le cassapanche di sentimenti su quelle mie cose.
voglio tenere tutto insieme, devo costruire un mosaico in cui ogni pezzo è logicadariamente unito all’altro.
di questo mosaico infinito che finirà ne fanno parte anche queste tue parole e tutte le altre.
non “serve” a niente perchè non è asservito ad alcun senso.
Questa è la cosa – immutabile nel suo mutamento – più bella che ho.
Dentro di me, con gran baldoria, danze irresponsabili e risaticchie, le condivido con te e ciascuno di voi a cui voglio bene, sperando di essere preso una volta di più parodisticamente in giro.
La mia immagine di te è molto simile all’orologio della stazione di Bologna.
La mia immagine di te è giusta in quanto mia ed è sbagliata in senso generale, un po’ ovvia come premessa, ma quelli bravi a scrivere così fanno… no, quelli bravi la lasciano intuire…vabbuò ma je so scarz.
Per te l’evento deflagrante è capitato una ventina d’anni fa… Una cosa che non hai accettato, ma d’altonde parliamo di qualcosa che è di fatto inaccettabile.
Da quel momento le cose per te dovevano restare quelle che erano nell’esatto istante in cui tutto ciò è accaduto.
Quali cose?
Gli oggetti ad esempio, volendo partire dal basso, la tua condizione umana e magari di quelli che ti erano attorno, volendo invece salire a piani più elevati.
Il pensiero che fa più orrore in situazioni di lutto così improponibile è la soluzione a tutto quel dolore… E l’unica soluzione che passa per la testa in quei momenti, è quella di essere consapevoli che il tempo potrà ridurre la ferità.
E’ possibile che tu abbia voluto non dimenticare quel dolore, anzi che tu abbia tentato nei modi anche più eccessivi (per gli esseri con una sensibilità comune) di mantenerlo vivo e pulsante come dal momento in cui esso è nato… per non dimenticare, per tenerla ancora lì.
Forse non dovevo, forse si… ma cricrì te vo bene e si ha scritt na strunzat dincell.
Caro Dottor Pelliccia,
so che stai attraversando un altro dei tuoi momenti “particolari”
e dunque mi rivolgerò a te
come se io e te fossimo la stessa persona
quindi un po’ come parlarsi in uno specchio
o pensare ad alta voce
o semplicemente osservare
il capello bianco che ti sei strappato sabato mattina
per usarlo come penna e come carta
e scrivere nell’aria foschia.
Poichè da qualche tempo non desideri esprimere
attraverso i versi incliti
questo strano stato d’animo che hai
(ricordi il film? e l’assolo sul finale?)
vorrei dedicarti alcuni passi di un paio di poesie
di quella che consideri una persona
che con le parole ci sapeva fare
semplicemente perchè
non sapeva barare
o solo nella vita
finzioni.
“sono sempre diventato il migliore
in ogni cosa quando quella cosa
non contava più niente:
football, guida veloce,
bere, giocare a soldi, buffoneggiare,
discutere, cacciar palle, finire
nel gabbio, impazzire, sollevare pesi,
boxare con l’ombra del fato.
ma ero solo.
gli altri erano maturati,
erano diventati responsabili
cittadini con
i figli, il lavoro, il mutuo,
l’assicurazione sulla vita e i cani da
compagnia.
proprio le cose che mi terrorizzavano
ero il marmocchio tardivo
che cerca un supplemento di infanzia.
volevo ancora giocare ma
compagni di gioco
non ce n’erano più.
ho fatto il vagabondo girando per
i viali, i bar.
non ho trovato niente non ho trovato nessuno.
ho perlustrato i bassifondi contando
che qualcosa laggiù
si potesse nascondere.
idea sbagliata
essere tardivo
vuol dire anche trovarsi
in ritardo per il cielo o l’inferno.
sei sempre lì che tenti
di acchiappare qualcosa
un treno che passa,
roba invisibile che deve esistere,
io la sento che c’è
certe volte la vedo negli occhi
di una cameriera vecchia e stanca,
o nella traccia tonda sul cuscino
dove ha dormito il gatto
(…)
e io lo so che è lì
irreperita,
in attesa,
in ritardo di secoli,
ribollente,
rotante,
ed io ce l’ho la cura per lei
la sto mettendo a fuoco,
non la sentite quasi,
adesso?
io sì”.
Caro Dario, perdonami se l’ho tagliata
ma tu sai che le cose che ti ho detto ieri
erano solo dettate dal dolore assurdo
dallo stomaco a pezzi
dalla insensatezza di questa “immonda messinscena”.
“in questo luogo, in questo tempo, ora
fai voto al sole
che ancora una volta riderai di cuore
nel luogo a te perfetto
per sempre
la loro morte non la tua vita”
Tu sai ascoltarmi, vero?
“Da una decina d’anni in me la pace è finita, non mi accontento più. Non riesco più a leggere un giornale, vedere la tv, guardare un film passandoci sopra. Oggi capisco i danni della realtà sull’essere umano. E sono certo che c’è bisogno non di umanità, ma di sovrumanità.
Un medico dice: “faccio il possibile”. E questo è umano. Il sovrumano significa: voglio andare a vedere l’impossibile, il mistero, lo sconosciuto. Queste sono le materie che possono fare crescere l’essere umano. (…) se fai arte ti occupi di spirito, dobbiamo smetterla di occuparci di umanità, anche la guerra è umana. Citare Dante va bene, ma dobbiamo anche scrivere come Dante. Invece subiamo i reality come se fossero storia, ubriachi di cronaca cerchiamo mediazioni. Dovremmo accettare con l’accetta, invece, cercare la creazione e non la ricreazione, la parodia. (…) io voglio usare mine pro-uomo per far saltare l’accettazione e l’assuefazione. E finiamo di confondere sogni con bisogni: i bisogni sono desiderio e necessità, il sonno è indicibile, inaudito e rivelazione. Non bastiamoci più. Voglio avvenire, non essere avvenente. Voglio far succedere, non avere successo”.
Alessandro Bergonzoni
L’auspicio è poter essere sempre presente quando nelle stanze del Caso si decide volta per volta della mia sorte, perchè penso che se ci si lascia una possibilità per esprimere un parere, una propria idea in merito, una Parola, forse il corso delle cose può cambiare.
“Prima o poi una controcultura emergerà; Barack Obama non dice nulla di diverso da quello che i democratici Usa hanno sempre detto, ma sa dirlo in maniera avvincente; il capitalismo troverà il modo di proseguire nello sfruttamento. È il suo mestiere. Fra qualche decina d’anni, però, la crisi ambientale romperà il giocattolo: quello capitalistico è un modello insostenibile.
La sola possibilità per l’Italia – dove dominano la politica reazionaria del governo Berlusconi, l’opposizione molle del PD, l’oscurantismo del Vaticano – sta nella speranza che arrivi una “bella pestilenza” a eliminare i soprusi del potente sul debole. Soprusi che oggi sono sistema: il pensiero unico reazionario e guerrafondaio sta governando il mondo col precariato di massa, le politiche antisociali e le speculazioni finanziarie. È la peste attuale, cui alludo col mio Decameron. La peste del Boccaccio segnò la fine del medioevo e l’inizio del Rinascimento. Auguriamocelo”.
Io ce lo auguro, insieme a Daniele Luttazzi.
http://www.youtube.com/watch?v=qApkXJwktVo
il 3 ottobre del 2000 presi un treno che da Napoli mi condusse a Trieste. Sostenni un colloquio di lavoro alla Fincantieri, che poi proprio colloquio non era, visto che avevo una raccomandazione, e si trattava solo di una formalità per pianificare l’ingresso nella struttura con il mio uomo di allora.
Ricordo con una lucidità ammirevole e commovente il momento in cui decisi. Ero all’aeroporto di Venezia-Mestre per il viaggio di ritorno. Entrai in bagno. Mi guardai nello specchio. Ne uscii e feci una telefonata.
4000 pagine di inchiesta
900 morti tra il 1979 ed il 2008
(42 tra il 1999 ed il 2007)
90 i testimoni
15 i dirigenti indagati
“Le condizioni lavorative riguardo agli ambienti sono state per un lungo periodo (dall’immediato dopoguerra a metà anni ’80) ben al di sotto degli standard richiesti per la lavorazione in presenza di sostanza cancerogena. Sono mancati, o sono stati utilizzati in modo carente, specifici interventi di prevenzione, estrattori d’aria e sistemi di aspirazione localizzata, protezioni individuali non idonee e il cui uso non è stato in alcun modo imposto o regolamentato. La più grande impresa di costruzioni navali italiana si è, in sostanza, lavata le mani di fronte a rischi che i suoi dipendenti correvano ogni giorno e che non potevano essere ignorati”.
Da qui, l’accusa di omicidio plurimo colposo.
Procuratore Generale della corte d’appello di Trieste – Beniamino Deidda.
Fincantieri – dicembre 2008
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Nel nostro essere individui, immaturi, coscienti, emotivi, irrazionali, logici ed affettivi, noi siamo tutto. Siamo bene e male, suggestioni, bilanci evocativi, pregiudizi, e trasognanti, lineari, intraducibili, dentro e fuori, agglomerato inscindibile a 360 gradi.
il perchè di quel mio rifiuto lo conoscerei solamente io.
Quel che mi preme e mi gratifica moralmente è questa circostanza: il fatto che io spenda dal 2001 la mia quotidianità lavorativa, gli affanni e le preoccupazioni, le magre soddisfazioni e le battaglie inespugnabili, come individuo che opera nel campo della sicurezza dei lavoratori, della prevenzione e protezione di chi, come me, ogni giorno si sveglia e lavora.
il fatto che i miei colleghi, i miei medici, i miei tecnici, i miei pensieri e le mie mani siano arrivate a pensare alla salute di chi lavora.
e per paradossale che possa essere, sono arrivati anche in quei cantieri, proprio alla Fincantieri di Monfalcone, proprio a beneficio di una di quelle ditte che lavorano lì, come elettricisti, tubisti e coibentatori.
Non dalla parte della morte, ma dalla parte di un’idea onesta e civile del lavoro e della vita.
Un altro piccolo pezzo di
VecchioLeviatano
dentro di me.
Cose a caso, cioè forme e contenuti, contenuti informi e forme contenute:
“Non voglio dare l’idea di una persona depressa o pessimista, ma il mondo è spaventoso. Non c’è più niente di divertente, non c’è più libertà. L’altro giorno ero in aereo, ero con amici e cercavamo di rilassarci durante il viaggio, stavamo ridendo e ci hanno detto di smettere, che davamo fastidio. La cosa mi ha sconvolto perché non stavamo disturbando nessuno, non facevamo rumore, non gridavamo, niente, solo sane risate, e la gente attorno era tranquilla, nessuno si era lamentato. Capisci che un mondo così va oltre le peggiori previsioni della fantascienza, siamo nel 2000, magari non esistono le macchine volanti ma se ridi ti dicono che non puoi. E’ terrore puro, siamo circondati da persone infelici. Gli anni ’80 erano problematici ma era intensa la voglia di vivere, di divertirsi, di creare, oggi non si ha più voglia di stare insieme, nessuno si parla più. Oggi la comunicazione avviene davanti allo schermo di un computer, su questo fottuto internet, che avrà tanti pregi ma l’arte, la vita, la natura hanno bisogno di aria e spazi aperti, di comunicazione fisica, reale, non possono passare attraverso internet. L’elemento umano è sparito”.
– Grace Jones –
“Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. Senza il linguaggio non ci sarebbero le scienze, non ci sarebbe la tecnica, non ci sarebbero leggi, non ci sarebbe l’arte, non ci sarebbe l’amore. Ma questa invenzione, senza l’apporto di qualcuno che la trasmetta, diventa virtuale, teorica. Può diventare anemica, ridursi, sparire. Gli scrittori, in cera qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio. Lo celebrano, lo affinano, lo trasformano, perché il linguaggio vive attraverso di loro, grazie a loro e accompagna le trasformazioni sociali o economiche della loro epoca”.
– Jean-Marie Le Clézio –
“Io musico te soltanto perché tanto hai musicato
quel che gli altri han solo scritto
sazi del parlato”.
– Max Gazzè –
“Non mi sento per nulla a mio agio dentro un mondo sempre più virtuale, tecnologico, lontano dalla maniera tradizionale di consumare cultura e informazione. Però ho perlomeno un vantaggio: che io posso scegliere il mio mondo, con quale parte del mondo resto. Sto in casa, leggo e vedo film, non vedo la televisione. Non vado in vacanza a Cancun, sono stato due mesi sul mare tirreno, che è il mio mare, la mia cultura, la mia memoria: sono le anfore, gli dei, l’olio d’oliva e il vino rosso, il marmo, i templi e Roma e Cartagine. Io credo che finché ci sono i libri, finché ci sono i musei, e pietre nel Colosseo, o teatri in Grecia, o nell’antica Troia, o nella costa mediterranea, chi vuole si può salvare, ha i meccanismi sufficienti non per salvare il mondo ma per consolare se stesso. Chi lo voglia può perfettamente costruirsi una propria trincea, una biblioteca, un castello, un baluardo dove sopravvivere”.
Non è Parola di VecchioLeviatano, bensì di Arturo Pérez Reverte.
Praticamente un prosieguo del post, letto nello stesso giorno.
Ecco cos’è la magìa dell’illusione.