Penso che il linguaggio abbia un codice strutturale profondo e segreto, ma che resti comunque qualcosa di cui l'uomo si è dotato per suo diletto spirito di creazione. A differenza di tutto ciò che ci contorna, che preesisteva a noi e che possiede regole di natura alle quali noi possiamo e dobbiamo semplicemente adeguarci, il linguaggio – nei limiti delle finalità con cui viene speso – non si impicca per forza a regole e circuiti che possano essere tacciati di artificialità, od obbligatorietà. Come – cioè – esponenti lontani e successori secolari delle stirpi geniali che nei millenni lo generarono e codificarono, si dovrebbe rivendicare il diritto di appellarsi ad una illusione. Vale a dire che le sensazioni, le emozioni pure più mie ed irripetibili, che non posseggono un linguaggio esterno e nemmeno uno interno, possano esplodere la gabbia della lingua e possano procedere in una dimensione commotiva opposta a quella strumentalmente segnata dalle cifre della lingua. Ovvero, che sia il linguaggio dei pensieri e dei codici parlati ad assoggettarsi alle sensazioni ed ai moti dell'animo umano, piuttosto che rimanerne rinchiuso in una gabbia di regole e consecutio. Se è vero che le emozioni prescindono dal linguaggio (e prova ne sia che anche gli altri esseri viventi – animali in testa, hanno sensazioni inesprimibili perché prive di linguaggio, ma le hanno), allora io mi illudo di inseguire quel sentiero lastricato di candore, dove le mie parole diventino lo strumento malleabile, adattabile e flessibile di un gioco degli specchi, dove i miei suoni, i miei colori, le mie immagini più profondamente "dentro", ottengano l'omaggio di una fotografia su bianco carta, senza che il codice scritto prenda il sopravvento, ma lasciando che sia l'inarticolato mare di dolore e commozione interiore ad esprimersi come meglio crede, con gli strumenti che ritiene più adatti al frastuono di quella stessa Illusione.
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Altro capitolo: ventennale di “Cuore” e considerazioni di Michele Serra sulla satira (la questione si fa virtualmente interessante: me che dibatto con Guzzanti e Serra!). Scrive il suddetto: “Il problema è che il linguaggio corrente, quello dei media, forse anche quello delle persone, è attualmente destrutturato, liquido, spampanato. Troppo indeterminato per avere una forma intelligibile. Non è facile, anzi forse è impossibile fare la parodia (fare la satira) di qualcosa che non ha forma. A meno che un piccolo milieu di giovani genii riesca a fare la parodia della non-forma, del non-potere, dell’inafferabile clima di sfascio e di cinismo che più o meno regola il mondo”.
Discorso sul linguaggio, dunque, e complementare a quello di Corrado Guzzanti, sull’omologazione tra codici politici, sociali, culturali e massmediatici, e tale da rendere insensato ciò che si sente e di cui si parla (l’insensatezza di vedere moltiplicate all’infinito le stesse parole ed ovunque, la perdita di senso e l’inintellegibilità del pastone globale). Come si fa a fare satira in questo mo(n)do? E’ tutto sistema, la scheggia nell’occhio è occhio che non vede, il dente che batte dove la lingua non suole è solamente perdente (a proposito: grazie a Max Gazzè per avere “citato” in “Siamo come siamo” del suo ultimo album il “mio” dente perdente asse portante di una poesia del 2002!).
Puoi parodiare Gasparri che dice che in fin dei conti è giusto mandare l’esercito nelle città perchè “meglio i nostri soldati di quelli del clan Nuvoletta”? Puoi satireggiare sul matrimonio briatore-gregoracci, che è ipso-facto una parodia di una parodia?
Oggi l’unico versante su cui puoi attaccare è quello del dramma e della tragedia, della morte, della religione e del sesso, delle catastrofi e delle apocalissi perchè è lì che solamente Essi Hanno Deciso che devesi concentrare l’attenzione della Massa. Lo stordimento all’imbrunire, tra cogne e la sicurezza sul lavoro.
Per questo trovo ovvio che tra un po’ ci si compiacerà di un ponteggio che diventa un volteggio aperto carpiato per un operaio defunto. Perchè morendo in questo modo, magari a fine mese, la cricca commenterà: “Smentite le voci di chi dice che le famiglie non arrivano nemmeno alla terza settimana. Questo operaio è riuscito ad arrivare addirittura al 24, ..tacci mia!”
Non è vero, o è solo apparenza riflessa, che siamo schiavi della tecnologia che avevamo inventato per servircene, e che invece è andata a ribaltone. Noi siamo molto più schiavi, e da molto più tempo, di un’invenzione capitale, la più umana e la più importante, che è il linguaggio.
Noi dobbiamo volere bene al linguaggio, ma ci dobbiamo ribellare, dobbiamo rovesciare la forma nella non forma, e viceversa (e viceversa nel viceversa, per l’esattezza.
Il linguaggio è un’illusione umana e come tutte le illusioni ci da il permesso, attraverso il paradosso, di illuderci di farcela.
Mantengo saldo l’incipit di questo blog Leviatano.
Ho fatto molta strada sulla via della mia multimedialità informe interiore strutturata disillusa cosciente e non.
Ho molte cose scritte alle mie spalle, pensate non ne parliamo.
Mi riallaccio al tema della satira perchè penso che il mio gazzettino ne costituisse un esemplare personale e minimale strepitoso, una perla assoluta, mi piaceva tanto, l’ho stampato, rilegato, a volte lo coccolo ancora, a volte mi caccia il dito medio.
Sono ancora più affezionato ai motivi per cui con grande senso di responsabilità lo abbandonai. Sia ben chiaro, questo è uno spazio mio, io sono autoreferenziale e lo faccio qui tanto per parodiarmi e stare “al passo coi tempi” (un giorno attaccherò tutti questi patetici e travisanti modi di dire, sono quasi pronto), se volete entrare nei veri miei diari di carta che scrivo ogni giorno dal 1990 accomodatevi pure, tanto la porta è chiusa.
Insomma, tutto questo chiacchiericcio per scrivere ciò che ho letto oggi in un’intervista a Corrado Guzzanti.
Dice: “Il rapporto tra satira e politica è cambiato. Quando ho cominciato, la politica per lo meno a chiacchiere occupava una posizione più alta. La parodia adesso funziona meno. Non c’è tra i due mondi il distacco che fa funzionare il meccanismo del paradosso. C’è un mondo tra politica, cultura e televisione che è tutto amalgamato. In Parlamento c’è di tutto. Sono mondi comunicanti”.
E fin qui.
Poi, ecco la eco leviatana.
“Ogni spunto satirico, anche il più crudele, viene immediatamente assorbito dal sistema. Non c’è nulla di eversivo, rara l’efficacia. I fatti e le personalità politiche sono così eclatanti che rincorrerli con la parodia è meno forte di quello che fanno già loro”.
Ci arrivai con anni di anticipo, o è solo piacevole vedere espresso da una persona del genere un concetto già mio.
Molte persone mi hanno chiesto perchè – a partire da una certa data – ho smesso di creare il Gazzettino.
La mia idea è che maneggiavo una sorta di vaso di pandora: l’orrenda realtà berlusconiana del 2003-2004 stava tracimando travolgendo qualsiasi senso del decoro (legalità, civiltà, solidarietà) e del ridicolo (gaffe, cactus, bandane). Più mi ostinavo ad osservare e ridefinire il senso dell’attualità attraverso la lente deformante ed ingrandente della satira, più quella stessa realtà, con ampio sfoggio di orrido e grottesco, si incaricava di andare oltre la mia disarticolata satira.
A quel punto ho gettato la spugna: non avrei potuto inventare niente di così tanto assurdo, e clamoroso, e comico, e fantasioso, e paradossale da travalicare le prodezze del napoleone redivivo.
Aneddoto.
Circa un anno fa, alla vigilia delle elezioni regionali (quelle del famoso ed irripetibile cappotto di 12-2), il presidente del consiglio – forse vagamente allertato dall’eventualità di una sonora mazziata – cominciò a “modificare” ogni giorni i “criteri” in base ai quali stabilire chi avrebbe realmente vinto quelle elezioni.
Prima disse: “vincerà chi conquisterà più regioni”.
Poi si informò meglio e cambiò regola: “vincerà chi strapperà più regioni all’avversario”.
Poi si rese conto che pure così avrebbe perso.
allora disse: “vincerà chi si accaparra le regioni più importanti”.
poi gli dissero che Lazio, Puglia e Piemonte (a parte la Campania) erano in bilico.
allora decise: “chi prenderà più voti avrà vinto”.
Fece queste giravolte disinvolte in un arco di tempo così breve che decisi di vergare un gazzettino pre-elettorale, ad uso e consumo prettamente mio.
l’occhiello recitava così: “finalmente stabiliti dal premier i criteri in base ai quali decidere chi avrà vinto le Regionali”.
E sotto, il titolone: “Chi vota per l’Unione è un lurido stronzone”.
Conclusioni.
Ad un anno di distanza, la realtà berlusconiana ha raggiunto e superato, per l’ennesima volta, la mia satira.
Confermando la pacifica logica che sosteneva l’idea di mettere il gazzettino nel congelatore.
Non posso però che essere soddisfatto della preveggenza che ebbi: mi rammarica solo il pensiero che con “unione” fa rima anche “coglione”….
Sarebbe stato un cerchio troppo perfetto.
In ogni caso, quel gazzettino inedito, è adesso qui (messo in rete poco più di una settimana fa!).
Altro capitolo: ventennale di “Cuore” e considerazioni di Michele Serra sulla satira (la questione si fa virtualmente interessante: me che dibatto con Guzzanti e Serra!). Scrive il suddetto: “Il problema è che il linguaggio corrente, quello dei media, forse anche quello delle persone, è attualmente destrutturato, liquido, spampanato. Troppo indeterminato per avere una forma intelligibile. Non è facile, anzi forse è impossibile fare la parodia (fare la satira) di qualcosa che non ha forma. A meno che un piccolo milieu di giovani genii riesca a fare la parodia della non-forma, del non-potere, dell’inafferabile clima di sfascio e di cinismo che più o meno regola il mondo”.
Discorso sul linguaggio, dunque, e complementare a quello di Corrado Guzzanti, sull’omologazione tra codici politici, sociali, culturali e massmediatici, e tale da rendere insensato ciò che si sente e di cui si parla (l’insensatezza di vedere moltiplicate all’infinito le stesse parole ed ovunque, la perdita di senso e l’inintellegibilità del pastone globale). Come si fa a fare satira in questo mo(n)do? E’ tutto sistema, la scheggia nell’occhio è occhio che non vede, il dente che batte dove la lingua non suole è solamente perdente (a proposito: grazie a Max Gazzè per avere “citato” in “Siamo come siamo” del suo ultimo album il “mio” dente perdente asse portante di una poesia del 2002!).
Puoi parodiare Gasparri che dice che in fin dei conti è giusto mandare l’esercito nelle città perchè “meglio i nostri soldati di quelli del clan Nuvoletta”? Puoi satireggiare sul matrimonio briatore-gregoracci, che è ipso-facto una parodia di una parodia?
Oggi l’unico versante su cui puoi attaccare è quello del dramma e della tragedia, della morte, della religione e del sesso, delle catastrofi e delle apocalissi perchè è lì che solamente Essi Hanno Deciso che devesi concentrare l’attenzione della Massa. Lo stordimento all’imbrunire, tra cogne e la sicurezza sul lavoro.
Per questo trovo ovvio che tra un po’ ci si compiacerà di un ponteggio che diventa un volteggio aperto carpiato per un operaio defunto. Perchè morendo in questo modo, magari a fine mese, la cricca commenterà: “Smentite le voci di chi dice che le famiglie non arrivano nemmeno alla terza settimana. Questo operaio è riuscito ad arrivare addirittura al 24, ..tacci mia!”
Non è vero, o è solo apparenza riflessa, che siamo schiavi della tecnologia che avevamo inventato per servircene, e che invece è andata a ribaltone. Noi siamo molto più schiavi, e da molto più tempo, di un’invenzione capitale, la più umana e la più importante, che è il linguaggio.
Noi dobbiamo volere bene al linguaggio, ma ci dobbiamo ribellare, dobbiamo rovesciare la forma nella non forma, e viceversa (e viceversa nel viceversa, per l’esattezza.
Il linguaggio è un’illusione umana e come tutte le illusioni ci da il permesso, attraverso il paradosso, di illuderci di farcela.
Mantengo saldo l’incipit di questo blog Leviatano.
Oggi è il primo giugno del 2008.
Ho fatto molta strada sulla via della mia multimedialità informe interiore strutturata disillusa cosciente e non.
Ho molte cose scritte alle mie spalle, pensate non ne parliamo.
Mi riallaccio al tema della satira perchè penso che il mio gazzettino ne costituisse un esemplare personale e minimale strepitoso, una perla assoluta, mi piaceva tanto, l’ho stampato, rilegato, a volte lo coccolo ancora, a volte mi caccia il dito medio.
Sono ancora più affezionato ai motivi per cui con grande senso di responsabilità lo abbandonai. Sia ben chiaro, questo è uno spazio mio, io sono autoreferenziale e lo faccio qui tanto per parodiarmi e stare “al passo coi tempi” (un giorno attaccherò tutti questi patetici e travisanti modi di dire, sono quasi pronto), se volete entrare nei veri miei diari di carta che scrivo ogni giorno dal 1990 accomodatevi pure, tanto la porta è chiusa.
Insomma, tutto questo chiacchiericcio per scrivere ciò che ho letto oggi in un’intervista a Corrado Guzzanti.
Dice: “Il rapporto tra satira e politica è cambiato. Quando ho cominciato, la politica per lo meno a chiacchiere occupava una posizione più alta. La parodia adesso funziona meno. Non c’è tra i due mondi il distacco che fa funzionare il meccanismo del paradosso. C’è un mondo tra politica, cultura e televisione che è tutto amalgamato. In Parlamento c’è di tutto. Sono mondi comunicanti”.
E fin qui.
Poi, ecco la eco leviatana.
“Ogni spunto satirico, anche il più crudele, viene immediatamente assorbito dal sistema. Non c’è nulla di eversivo, rara l’efficacia. I fatti e le personalità politiche sono così eclatanti che rincorrerli con la parodia è meno forte di quello che fanno già loro”.
Ci arrivai con anni di anticipo, o è solo piacevole vedere espresso da una persona del genere un concetto già mio.
Ci ho messo qualche anno ma infine ti ho ritrovato. Caro vecchio capitano, oh mio capitano…
Molte persone mi hanno chiesto perchè – a partire da una certa data – ho smesso di creare il Gazzettino.
La mia idea è che maneggiavo una sorta di vaso di pandora: l’orrenda realtà berlusconiana del 2003-2004 stava tracimando travolgendo qualsiasi senso del decoro (legalità, civiltà, solidarietà) e del ridicolo (gaffe, cactus, bandane). Più mi ostinavo ad osservare e ridefinire il senso dell’attualità attraverso la lente deformante ed ingrandente della satira, più quella stessa realtà, con ampio sfoggio di orrido e grottesco, si incaricava di andare oltre la mia disarticolata satira.
A quel punto ho gettato la spugna: non avrei potuto inventare niente di così tanto assurdo, e clamoroso, e comico, e fantasioso, e paradossale da travalicare le prodezze del napoleone redivivo.
Aneddoto.
Circa un anno fa, alla vigilia delle elezioni regionali (quelle del famoso ed irripetibile cappotto di 12-2), il presidente del consiglio – forse vagamente allertato dall’eventualità di una sonora mazziata – cominciò a “modificare” ogni giorni i “criteri” in base ai quali stabilire chi avrebbe realmente vinto quelle elezioni.
Prima disse: “vincerà chi conquisterà più regioni”.
Poi si informò meglio e cambiò regola: “vincerà chi strapperà più regioni all’avversario”.
Poi si rese conto che pure così avrebbe perso.
allora disse: “vincerà chi si accaparra le regioni più importanti”.
poi gli dissero che Lazio, Puglia e Piemonte (a parte la Campania) erano in bilico.
allora decise: “chi prenderà più voti avrà vinto”.
Fece queste giravolte disinvolte in un arco di tempo così breve che decisi di vergare un gazzettino pre-elettorale, ad uso e consumo prettamente mio.
l’occhiello recitava così: “finalmente stabiliti dal premier i criteri in base ai quali decidere chi avrà vinto le Regionali”.
E sotto, il titolone: “Chi vota per l’Unione è un lurido stronzone”.
Conclusioni.
Ad un anno di distanza, la realtà berlusconiana ha raggiunto e superato, per l’ennesima volta, la mia satira.
Confermando la pacifica logica che sosteneva l’idea di mettere il gazzettino nel congelatore.
Non posso però che essere soddisfatto della preveggenza che ebbi: mi rammarica solo il pensiero che con “unione” fa rima anche “coglione”….
Sarebbe stato un cerchio troppo perfetto.
In ogni caso, quel gazzettino inedito, è adesso qui (messo in rete poco più di una settimana fa!).
Proprio per la serie: preveggenza e coglionanza.
Alle urne, alle urne!
Vecchio Leviatano